Cari lettori,
se con l’ultimo appuntamento di Philmosophy abbiamo discusso del capolavoro di Tarantino, in questo andremo a parlare di uno dei capolavori storici del cinema. Forse l’unico film a precederne il libro, un’avventura ai confini della conoscenza e della coscienza umana: un film che fissa l’obiettivo di ogni nuovo giovane regista e che è incastonato nella memoria storica dell’uomo. Per la regia di Stanley Kubrick, un film del 1968: 2001: Odissea nello spazio.
La trama di 2001 (abbrevierò così il titolo) è più fittissima, tanto da non permettermi di specificarla come al solito prendendo spunto dai bei sunti di wikipedia o di altri siti cinefili, pertanto andrò ad illustrarvi, di mio pugno, in modo succinto e rapido, lo svolgersi del film.
La pellicola è provvista di quattro grandi capitoli (cosa che si ricollega, guarda caso, allo stile tarantiniano nel girare i propri film) che, in un susseguirsi assai logico e, diremmo quasi sillogistico, costruiscono l’architrave del racconto di Kubrick e Clarke. Andiamo a vederli, brevemente:
– L’Alba dell’Uomo: in questo capito Kubrick e Clarke ci raccontano la nascita dell’uomo, secondo 2001. Siamo nell’Africa di quattro milioni di anni fa: un gruppo di ominidi, guidati da un capo, sopravvive a fatica in un ambiente arido e ostile. Un giorno, davanti alla loro grotta appare misteriosamente un grande monolito nero; gli ominidi, venendovi a contatto, imparano inspiegabilmente a usare gli strumenti per cacciare gli animali e ad estendere il proprio territorio aggredendo i nemici.
– TMA 1: nel secondo capitolo, Kubrick e Clarke, ci raccontano la riscoperta del grande monolito nero avvenuta nel 1999 che, misteriosamente, rimase inerte sulla Luna per quasi tre milioni di anni.
– Missione Giove: se nei primi due capitoli la pellicola acquista sapore e gusto, in questo terzo acquisisce sostanza e forma. Kubrick e Clarke ci raccontano gli avvenimenti durante una missione gioviana: nel 2001, un gruppo di cinque astronauti, di cui tre in stato di ibernazione, è in viaggio a bordo dell’astronave “Discovery One”, diretta verso Giove e governata da un supercomputer chiamato HAL 9000, dotato di una sofisticata intelligenza artificiale che lo rende valido interlocutore degli esseri umani a bordo (le macchine della serie HAL sono note per non aver mai commesso errori di nessun tipo).
– Giove e Oltre l’Infinito: nel quarto capitolo la pellicola diviene completa, perfetta ed avveniristica. Bowman arriva in orbita intorno al pianeta gigante avvistando un nuovo, gigantesco monolito nero. Prova allora ad uscire ed avvicinarsi con una capsula: una panoramica del sistema gioviano con i satelliti allineati e il monolito pare inghiottire l’esploratore. Una scia luminosa multicolore cancella lo spazio conosciuto. Bowman e la capsula sono accelerati a velocità sconosciute. Scorci di stelle, nebulose, sette ottaedri e panorami di terre sconosciute si alternano fino al materializzarsi della capsula di Bowman in una stanza chiusa, arredata in stile Impero.
Inutile dire che questo film va guardato ed analizzato secondo la propria visione delle cose. È complesso dare un giudizio oggettivo, salvo per il lato tecnico, sullo sviluppo di questa pellicola. 2001 è l’introspezione di Kubrick e Clarke rispetto all’essere umano e forse non solo. 2001 è il manifesto filosofico dell’escatologia, è la bandiera che alta sventola la nostra non-conoscenza dello scibile. Noi, inteso come razza umana e, forse meglio, come ragione umana, conosciamo una piccolissima parte del conoscibile all’uomo in quanto ente dell’esserci heideggeriano. Noi siamo stati gettati in questo luogo ed in questo spazio, costretti a viverci e a sfruttarlo secondo le nostre più svariate volontà, fra cui quella di potenza che, probabilmente, le racchiude tutte in un abbraccio mortale. E siccome siamo stati gettati diveniamo esseri che sono-qui: esser-ci. E grazie a ciò subito ci proponiamo come centro dialettico e logico del mondo, della nostra proiezione del mondo, e poi del cosmo (dell’ordine secondo uomo dell’universo).
Kubrick e Clarke altro non fanno che prendere queste basi per costruirvi sopra la loro superstizione basandosi anche su teorie e pensieri di filosofi a loro passati. 2001 è intriso di filosofia: dall’escatologia alla volontà di potenza, dal velo di Maya al concetto di intelligenza artificiale, dal esser-ci all’oltreuomo.
Non credo abbia molto senso, anche se il fine di queste pagine è di unire il cinema alla filosofia, che io mi metta a spiegare questi concetti che, fra l’altro, sono abbastanza complessi da trattare senza uno scambio vivace di idee ed impressioni, ma possiamo andare oltre. Lasciando comunque la bellezza della scoperta del film, possiamo analizzare due o tre passi che mi hanno impressionato a livello intellettuale e di pensiero filosofico:
– È lucidamente impressionante come Kubrick e Clarke abbiano volutamente esplicitato, nel primo capitolo, l’evoluzione umana. Se di primo acchito potremmo dire che nulla si discosta dall’evoluzionismo darwiniano (che poi è da riscoprire, attenzione, nelle stesse pagine e parole di Darwin), perché si vede chiaramente l’evoluzione dalla clava all’intelligenza creativa, all’astronave; di seconda battuta potremmo invece affermare senza tema di smentita che, i due, volessero invece focalizzare l’attenzione sul ruolo del monolito e sulla metafora dello stesso. Lucidamente mettono a confronto l’ominide con l’austera tecnologia e freddezza del monolito alieno che, d’un tratto, eleva la tecnologia ominide – la clava – in tecnologia umana – l’astronave. Non è da lasciar passare in secondo piano, ovviamente, il rimando alle teorie degli antichi astronauti che avrebbero dato vari colpi di acceleratore all’evoluzione umana, cosa che può trovare spiegazione anche in alcuni buchi oscuri che la stessa scienza evoluzionista riconosce come falle del sistema: vari mostri genetici, vari cambiamenti genetici, l’anello mancante, mancanza di competitori naturali, mancanza di habitat naturali per l’uomo, continua e costretta manipolazione della natura per sopravvivere, eccetera.
– Il calore e l’atmosfera assolutamente terrestri, con violenza e paura annesse, del primo capitolo vengono scaraventate ed inghiottite dall’assoluto sbigottimento per il ritrovamento del monolito, milioni di anni dopo, nel 1999, sulla Luna. Ancora più stupore scende in scena quando, colpito dall’alba lunare, questo emette un fortissimo segnale radio che ci sbalza nel 2001 a bordo della Discovery One. Qui il sapore delle prime scene viene completamente sovvertito e si annusa e si respira un’aria fredda, austera ed assolutamente tecnologizzata. Meraviglioso è come Kubrick abbia reso il calcolatore HAL 9000 talmente umano da renderlo volutamente freddo, triste, arrabbiato, cinico e straordinariamente calcolatore. Con solo una luce ad accendersi e spegnersi, Kubrick riesce ad umanizzare un computer rendendolo talmente empatico da risultare ancora più cattivo e spietato, senza dar conto del perché.
– L’ultimo piano della pellicola è la parte più filosofica e più scientificamente spinta della stessa. Bowman, il prediletto, raggiunge un piano talmente elevato della conoscenza della coscienza umana che acquisisce la capacità della quarta dimensione, potendo così guardare se stesso dal di fuori, da un corpo più giovane (una sua emanazione mentale?) di quello che è guardato. Ed in questa contemplazione dell’essere umano avviene il passo decisivo dell’evoluzione umana: l’oltreuomo. L’uomo diviene quel che deve divenire, attraverso lo “Star-child“, in una sorta di visione nietzschiana che non va ad amalgamarsi con l’etica, la morale e la volontà di potenza, ma solo ci permette di guardare e di capire, forse, che quel “bambino delle stelle” sarà l’archetipo della nuova umanità: sarà l’uomo che deve divenire, l’uomo che va oltre la propria conoscenza della non-conoscenza e si dirige verso un piano superiore dell’essere, cosciente e conoscente di essere divenuto l’uomo che deve divenire: l’Oltreuomo.
Tecnicamente il film è perfetto. La regia di Kubrick è impressionante, la sceneggiatura curata da lui e da Clarke è perfetta, le musiche sono azzeccatissime, la fotografia quasi non la si nota tanto è reale. Insomma, dal lato puramente tecnico è un capolavoro che rasenta la perfezione in ogni suo ambito. Dal lato contenutistico è un film enorme, pregno fino al midollo di messaggi su messaggi mai banali; è un film da sviscerare con calma e con la dovuta attenzione, magari andando anche a leggere qualche nozione di escatologia, psicologia e filosofia nietzschiana. Ma, è giusto ricordarlo, è godibile anche in assoluta verginità rispetto a quelle tematiche, sicuramente però, conoscendo la “grammatica” del film, lo stesso risulterebbe molto più avvincente e scorrevole.
Devo aggiungere altro? Capolavoro.
Guardatevelo!
PS: interessante, per gli amanti della grammatica cinefila, leggere come il genio di Kubrick sia così evidente in questo film grazie a queste brevi spiegazioni della tecnica registica utilizzata, degli effetti speciali, della produzione e della sceneggiatura a quattro mani con Clarke: link.