Sunshine (Danny Boyle)
Carissimi lettori,
torniamo su queste pagine con una nuova recensione, con una discussione su un film che, personalmente, mi è piaciuto moltissimo e che solca le acque psico-filosofiche all’interno del cinema di fantascienza con notevole maestria. Per la regia di Danny Boyle, con la sceneggiatura di Alex Garland, un film del 2007: Sunshine.
Nell’anno 2057 il Sole si sta spegnendo e la Terra, e con essa il genere umano, rischia l’estinzione a causa di una conseguente glaciazione globale. Per tentare di salvarla è stato mandato in missione un esperto equipaggio composto da due astronauti e da un gruppo di scienziati a bordo dell’enorme astronave Icarus II, con l’incarico di gettare e detonare nella stella una gigantesca bomba atomica stellare (con massa pari a quella dell’isola di Manhattan) al fine di riattivare le reazioni nucleari all’interno del Sole ed evitarne così lo spegnimento – come se si creasse una stella dentro la stella. A compiere la stessa missione, sette anni prima, nell’ambito dello stesso progetto, era stata mandata l’astronave Icarus I, di cui però si erano perse le tracce prima che raggiungesse il Sole. Quella dell’Icarus II è l’ultima possibilità, perché per fabbricare questa seconda bomba è stato utilizzato tutto il materiale fissile rimanente trovato sulla Terra.
Data questa sinossi, Sunshine metterà in scena molteplici atti teatrali al cui interno si svolgeranno diverse trame intrinsecamente legate fra loro, ma estrinsecamente differenti. Vantando una sceneggiatura saporita e vivida, Boyle riesce a governare la pellicola in modo sontuoso, danzando fra piano sequenza e primo piano, saltellando da un ritmo docile ed abbracciante ad un ritmo, invece, più incalzante e tamburellante. La pellicola, quindi, è gestita in modo efficiente sul piano del ritmo e del montaggio che la rendono, poi, a scatola chiusa, un prodotto né lento né veloce, né noioso né tracotante. E se sul piano puramente scientifico ci sono degli errori anche grossolani, accompagnati da licenze poetiche che tentano, in qualche modo, di fondersi con l’errore e renderlo una sorta di avanguardia futurista – se non scientifica, quantomeno poetica -, sul piano psicologico e filosofico le cose cambiano: abbiamo una pellicola che basa quasi la totalità della sua bellezza, sì sul rendimento grafico del sistema solare e della stessa stella, sì sulla bellezza un po’ cupa dell’astronave e del significato stesso dell’azione salvifica che governa la trama principale, ma colonna portante della stessa sono i rapporti umani fra gli astronauti. Le loro decisioni, indecisioni, sofferenze e sentimenti governano tutta la pellicola guidandola sempre con l’acceleratore pigiato sul lato umano ed umanistico della vicenda. Se dapprima abbiamo una costruzione dei personaggi che già risultano essere complessi e notevolmente ben scritti, man mano che si avanza con il minutaggio – e quindi con la trama stessa – i caratteri si infittiscono, si intrecciano, si scoprono zone d’ombra e fino alla fine del film queste micro-fusioni fra i caratteri dei personaggi continuano con un ritmo sempre più incalzante, rendendo quasi da “suono di sottofondo” alla macro-esplosione che è il fine della missione stessa.
In Sunshine accarezziamo la bontà d’animo, la crudezza della scelta, la voracità dell’abbandono, la delusione, l’amore per la famiglia, l’affetto per l’obiettivo della missione, il coraggio messo in campo non per salvare se stessi, ma per soccorrere il prossimo – anche in veste di umanità tutta. Ed è qui che si unisce al livello psicologico – che, diciamolo, poco mi compete e che spero di aver trattato con sufficiente garbo e padronanza -, il livello filosofico. Sì, perché se di primo acchito potremmo pensare che questa pellicola abbia solamente molto da dire in ambiti puramente cinematografici (regia, sceneggiatura, montaggio, musiche: divine!), in ambito scientifico, in ambito psicologico ed umanitario, dopo una attenta visione possiamo invece notare, e quindi aggiungere, il livello forse più importante su cui si basa l’intera sceneggiatura: l’escatologia.
Potremmo parlarne e scriverne per ore, ma cercando di riassumere possiamo dire, senza tema d’essere smentiti, che Sunshine ha un grande messaggio in sottofondo sul quale, poi, si costruisce una trama finalizzata alla sopravvivenza della razza umana, una trama finalizzata all’intreccio delle psicologie umane dei personaggi che lo governano, ed un messaggio finale di monito riguardo tutte le sotto-trame sopra citate. Il grande messaggio, invece, che rimane a sfondo di tutto il film, è la filosofia della “missione umana”. Anche se l’escatologia non tratta principalmente di questo fine umano, o meglio non è il suo ambito preferito nel quale srotolare tutte le sue conoscenze che fino ad oggi si sono storicizzate, possiamo dire che comunque è terreno escatologico: il Sole si sta spegnendo, la Terra rischia il congelamento e con esso la fine dell’uomo. Qual è, quindi, il fine dell’uomo? Sunshine lo racconta, anche se sempre sotto un velo – di Maya? – che ne permette la fruizione solo ad un’attenta visione non interrompendo, invece, lo scorrere del film.
Dobbiamo sapere che ci sono diverse risposte all’escatologia. D’altronde l’uomo si pone la medesima domanda da parecchi secoli (comunemente da Talete in poi, quindi dal VII secolo a.c. ai nostri giorni) e, naturalmente, è arrivato a rispondersi, tramite uomini diversi in secoli diversi, in modalità diverse. Nel film non viene presa una posizione in tal senso, e quindi non viene rappresentata una via di salvezza se non nel finale che, ovviamente, non vi svelo. Rimane il fatto che Boyle e Garland lasciano una via di fuga, propria dello spettatore, che porta comunquemente alla fine escatologica dell’uomo, quindi – potremmo dire – alla salvezza del suo essere in quanto essere: che porta alla compiutezza intrinseca dell’essere in quanto essere, appunto – onticamente ed ontologicamente.
Non v’è bisogno alcuno di dilungarsi in prolisse e logorroiche speculazioni. Sunshine va guardato, merita la visione e merita, sopratutto, il tempo della nostra riflessione sulle domande che nasceranno in noi alla fine dei titoli di coda. Badate bene, non tanto alle domande volutamente inserite nel contesto tramesco del film, ma quanto alle domande che scaturiranno dal sottotesto volutamente nascosto – Maya? – che dal suo essere solamente intellegibile governa il subconscio rilasciando, a tempo debito, le domande che muovono l’uomo da quando iniziò a camminare sulla Terra: chi siamo? da dove veniamo? e perché siamo qui?
PS: sopra ho parlato di errori scientifici evidenti. Bene, vi lascio il link ad una recensione scientifica di Sunshine fatta da un ragazzo tanto amabile quanto in gamba: recensione scientifica.