L’hanno usato. L’hanno messo in mezzo, come capita spesso. Di sicuro non sapeva cosa vi fosse in quel pacco. O forse un po’ lo sospettava, ma i soldi che gli hanno dato gli avrebbero permesso di mantenere moglie e due figli in Marocco per un bel po’.
Fatto sta che sette chili son tanti. La condanna era per traffico di stupefacenti. Tre anni e sei mesi.
Paga il debito con la giustizia, sconta la pena in carcere. Condotta irreprensibile. Ben voluto dalle guardie carcerarie e dai volontari.
Fine pena, esce di carcere. Ma fine pena e’ a volte anche inizio irregolarità o, come dicono altri, clandestinità.
Sette chili son tanti. E se si tratta di cocaina son tantissimi.
E’ un pericolo per l’ordine pubblico, ritiene la questura. E revoca il permesso di soggiorno.
“Avvocato, posso farti una domanda?” – mi chiede in uno stentato italiano – “tu sei Calabrese, vero?”
Rispondo di si e gli chiedo se fosse vissuto in Calabria.
“Cugino!” – esclama – “sono in Italia da 30 anni, sono stato a Vibo Valentia, a Lamezia”.
“Sei stato anche a Nicotera? Vendevi sulla spiaggia di Nicotera marina?” – chiedo io.
“Si! Nicotera, Tropea, Pizzo! Aiutami, cugino! Voglio solo poter stare in Italia per lavorare. Sono un venditore ambulante”.
Ed in quel momento, per un attimo mi rivedo bambino sulla spiaggia di Nicotera marina a giocare con mio fratello più piccolo e con i miei cugini.
E ricordo i venditori ambulanti marocchini che si fermavano ai nostri ombrelloni, col loro carico di teli da mare, vestiti per donne, occhiali da sole.
“Cugini”, li chiamavamo in Calabria con fare amichevole (erano vu cumpra’, altrove). Ed anche loro chiamavano noi “cugini”. Era da tanto che non sentivo più questa parola.
Il “cugino” che oggi viene a chiedermi di aiutarlo per il suo problema di soggiorno in Italia, tanti anni fa era sulla spiaggia di Nicotera, e magari si sarà fermato al mio ombrellone, avrà scherzato con noi ed avrà riso alle battute di zio Peppino.