Per chi sostiene che la musica valida si sia esaurita con i Pink Floyd servirebbe un girone dell’inferno ad hoc, fatto di “buongiornissimi” tirati in faccia e Vaporwave a tutto volume.
Qui di seguito la mia personalissima (=relativa ai miei generi di “riferimento”) top 10+2 per celebrare un anno musicale che ci ha regalato belle cose.
L’ordine è casuale (che somiglia una frase filosofica ma invece non lo e`).
- Calexico – The Thread That Keep Us
Tre anni dopo il precedente “Edge Of The Sun”, i Calexico ci dicono che il loro lo sanno ancora fare, eccome.
“The Thread That Keep Us” e` un album che tiene compagnia, rilassa rilasciando a tratti un pizzico di nostalgia, da ascoltare necessariamente per intero, lentamente, non curandosi dell’alternarsi dei brani.
E` un album anche vario. Nota necessaria perché da una band con una carriera ventennale alle spalle magari ci si potrebbe aspettare qualcosa di già sentito nel lontano millenovecentoequalcosa (obiezione di solito mossa da chi, però, a partire da quell’ anno ha smesso di ascoltare musica).
Molte chitarre grintose (“Bridge To Nowhere”, “Eyes Wide Awake”), ballate (“The Town” e “Miss Lorraine”) e motivetti che non puoi non fischiettare per il resto della giornata (“Under The Wheels” che mi ha ricordato molto Liars e Arcade Fire).
Altri di cento di questi dischi, Calexico!
Calexico – Bridge to Nowhere
- The Soft Moon – Criminal
Il post-punk è vivo e lotta insieme a noi.
The Soft Moon, progetto di Luis Vasquez, è uno di quei gruppi che va tenuto costantemente d’occhio. Un Post Punk sventrato da molte influenze che non lascia spazio a nostalgie di puro revival anni ‘80.
E “Criminal”, ultimo album in studio, non asseconda assolutamente nessuna pulsione da cresta alta e lucchetto al collo. Anzi.
“Criminal” è volutamente graffiante, nervoso…ed innovativo; fonde i tipici chorus e flanger del genere (“Born Into This”) con suoni industrial/EBM, veloci, distorti (“ILL”).
Non adatto per chi cerca castelli gotici e ragnatele.
The Soft Moon – ILL
- Yakamoto Kotzuga – Slowly Fading
Basta parlare del “giovanissimo” Yakamoto Kotzuga (pseudonimo del produttore Giacomo Mazzucato), perché Slowly Fading, suo ultimo album, ha una complessità che non può essere ingabbiata all’ interno di dati anagrafici.
Un’ elettronica “slowly”, caratterizzata da un’ atmosfera cupa (diversamente dall’onirico “All These Things I Used to Have”, più in linea con il precedente “Usually Nowhere”) che ci dimostra una evoluzione ormai consolidata.
“Slowly Fading” non è un album che asseconda, una facile elettronica, un po’ “chill”, dagli schemi ormai definiti.
Non è neanche l’avanguardia di un nuovo genere, sia chiaro.
E’ “solo” un gran bell’ album.
Yakamoto Kotzuga – Until We Fade
- Bunuel – The Easy Way Out
Tanto rumore.
Rumore metallico, urla e lamenti. Un basso pressante e chitarre graffianti a far da padrone.
Non c’è spazio per interferenze e contorni. Si è soli contro tutto in una martellante, veloce, ripetitività.
Quello che più mi attira dei Bunuel (“The Easy Way Out” è il loro secondo lavoro) è che non importa chi siano. Il fatto che siano un “supergruppo” poi, è del tutto irrilevante. Non scoprite neanche chi c’è dietro.
Fatevi martellare e basta.
Bunuel – The Hammer The Coffin
- Gorillaz – The Now Now
Damon Albarn ha dimostrato scientificamente che si può creare una canzone “estiva” senza scadere nei cliché del tormentone (quant’è palma-e-piscina “Humility”?).
“The Now Now” riesce a ricreare la freschezza di una stagione; è un disco spensierato e leggero che regala hit come “Hollywood” (featuring Snoop Dog e Jamie Priciple) e pezzi più riflessivi (la bellissima “Idaho”).
Arriva dopo un anno da Humanz (2017), altro disco costruito benissimo, che ha rotto il silenzio dei Gorillaz che durava da ben otto anni (Plastic Beach risale ormai 2010). Ed è un “ritorno” in grande stile, di quelli che dicono che la strada è ancora molto lunga. Splash!
Gorillaz – Humility
- Young Fathers – Cocoa Sugar
Scusateci Young Fathers, ma l’ Italia non è ancora pronta per voi.
Perugia l’ anno scorso ha deciso di regalare una data come si deve: Massive Attack con opening Young Fathers.
Il concerto inizia in anticipo (si sapeva di un acquazzone e gli organizzatori hanno deciso di anticipare il concerto per allontanare il pericolo rimborsi), il grosso della gente ancora non è arrivata e chi c’è non calcola i Young Fathers che nel frattempo fanno il panico sul palco.
Io lì, un po’ imbarazzato dalla situazione, decido di lasciarmi trasportare dalla sensualità e dal ritmo Trip Hop di quella che secondo me è una delle migliori band in circolazione.
Loro a fine esibizione lasciano il palco stizziti, giustamente.
Il fatto è che quando saremo pronti, come di consueto, sarà troppo tardi.
Young Fathers – In My View
- Interpol – Marauder
Io ad inizi ‘00 ero ancora un bambino quindi “Turn On The Bright Lights” non l’ ho ascoltato per quindici anni di fila; e quindi no, gli Interpol non mi hanno “ancora” annoiato.
Piccola premessa perché il principale difetto di “Marauder” è proprio l’ eredità che si porta appresso. “Non è il disco più bello dell’anno perché quello precedente è ancora più bello”, dicono ogni volta.
Vade retro! “Marauder” spacca, poco da girarci attorno.
Qui gli Interpol hanno costruito un disco che “funziona”, suona bene ma non nel senso di un prodotto commerciale pensato a tavolino, ma al contrario un disco Indie-Rock che rappresenta a pieno i canoni e la potenza di una band che di quel genere fa ancora oggi scuola.
Le canzoni sono lineari ma ci pensi per il resto del giorno perché quella chitarra distorta e ovattata messa un po’ ovunque difficilmente ti lascerà in pace. Poi “Number 10″ ha poco da invidiare ad “Obstacle 1” (tsz!)
Interpol – Number 10
- Thought Gang (Angelo Badalamenti, David Lynch) – Thought Gang
Circa venticinque anni fa Angelo Badalamenti e David Lynch hanno inciso diverse tracce che solo ora sono state portate alla luce.
Cover dei Guns ‘n Roses? No. Un viaggio su di una scialuppa tra onde sonore e elettricità postmoderna sotto forma di jazz poco definito.
E ovviamente tutto molto inquietante (è di recente uscito una sorta di corto/video firmato Lynch che racchiude i brani “Frank 2000” e “Woodcutters From Fiery Ships”, giudicate voi stessi).
Twin Peaks, la cittadina americana che ha ospitato la morte di Laura Palmer, è dentro la maggior parte dei brani (o il contrario, non saprei). Si potrebbe dire che alcuni di questi sono la rivisitazione inquieta della storica colonna sonora.
Penso che questo disco (ma forse l’ intera produzione musicale di Badalamenti – Lynch) sia la linea di confine tra ciò che è ordinario e ciò che non lo è.
Ant Head
- God Is An Astronaut – Epitaph
Epitaph è una dolce tensione che cresce minuto dopo minuto fino ad esplodere inesorabilmente. Ed è questo che principalmente mi ha avvicinato di recente al post rock; questa dissonanza di intensità, un qualcosa che si accende, poi si rilassa, si contrae per esplodere di nuovo.
E che “destruttura” la forma canzone (semi cit.). Si, perché questa continua tensione fa sì che la canzone si dilati, a volte venga portata allo stremo, una esasperazione frastornante che però è, come dire, naturale; il giusto epilogo di quella tensione che cresce e necessita di fuoriuscire.
God Is An Astronaut – Epitaph
- Dead Can Dance – Dionysus
Accendete le torce e preparatevi a celebrare il raccolto.
Il ritorno dei Dead Can Dance è un viaggio intorno al mondo in due atti, nove tracce di “world music” che esprimono una raffinatezza che in pochi possono permettersi.
Con una carriera ormai trentennale e un nuovo tour alle porte, “Dionysus”, l’ultimo lavoro del duo australiano, è un album musicalmente complesso, strumentalmente ricco ed elegante, caratterizzato da flauti, percussioni e strumenti lontani che creano un’ atmosfera meticcia, molto diversa dai precedenti lavori.
E qui sta la forza dei Dead Can Dance, un gruppo che nonostante le etichette è sempre stato super partes, riuscendo ad emergere dall’ appiattimento dei generi e del tempo.
Dead Can Dance – Dance of the Bacchantes
+2
Un disco che ero indeciso se inserire direttamente nella Top 10 e un altro che non mi è piaciuto.
- Aphex Twin – Collapse
Aphex Twin è uno di quegli artisti che prima di mettere in discussione devi pensarci tante volte. Semplicemente perché agisce in un contesto spazio-temporale tutto suo e le nostre categorie non sarebbero efficaci (gli si potrebbe recriminare la lentezza con cui pubblica le cose -un EP dopo cinque anni dall’ ultimo album “Syro” – sapendo che nel suo mondo il tempo scorre in modo diverso?).
“Collapse” inoltre è strepitoso. Sei tracce che ne contengono altrettante al loro interno. Pezzi della solita complessità che però si lasciano ascoltare e “acquistano senso” man mano grazie ad un ascolto attento.
Il singolo che ha lanciato l’album è “T69 Collapse”, accompagnato da un video che potrebbe essere benissimo il timelapse di quando dio ha creato il mondo.
Aphex Twin – T69 Collapse
- Human Tetris – Memorabilia
Io agli Human Tetris ci sono affezionato. Vuoi perché sono (semi) esordienti e fanno post punk; vuoi perché sono russi e dalle nostre parti non li conosce nessuno (il che mi permetterà un giorno un paternale “li ho visti nascere”).
Fatto sta che il loro primo album (“Happy Way In The Maze Of Rebirth”, ma anche alcuni EP che lo hanno preceduto) è un album bello, per carità niente di estremamente innovativo, ma sicuramente da tenere in playlist (“Cold Wind” è veramente un gran pezzo).
“Memorabilia”, il loro ultimo album, invece non lo è.
Spero non sia un “cambio di rotta”, che figuriamoci, ci può anche stare, ma questo sembra un album di cover di pezzi sconosciuti dei The Strokes. E a me i The Strokes non piacciono.
Perché stanno nella mia top 10+2? Perché sento tanta potenzialità e se non si perderanno per strada scimmiottando gruppi, possono regalare soddisfazioni.
Human Tetris – Melancholy
FUORI CLASSIFICA
Qualche altro titolo 2018 niente male…
Thom Yorke – Suspiria
Arctik Monkeys – Tranquillity Base Hotel & Casino
Mogwai – Kin
Dead Cat In A Bag – Sad Dolls And Furious Flowers
Massimo Zamboni – Sonata a Kreuzberg
The good, The Bad & The Queen – Marrie Land
Jon Hopkins – Singularity