Non c’è un modo semplice per dirlo quindi sarò diretto, non c’è più niente di cui essere presidente e di conseguenza non ci sarà più una rubrica con tale nome. Ho pensato tanto in questi ultimi mesi e pur con molti dubbi e ripensamenti sono arrivato a questa decisione irrevocabile: il percorso si è interrotto. Non c’è più niente di cui essere presidente.
Subito dopo aver preso questa decisione, che con il tempo si è dimostrata sempre più corretta e sensata, mi sono però detto ok finisce questa avventura, ma finisce anche la mia voglia di fare politica? Non c’è più una volontà in città e in Italia di fare politica in prima persona?
Se alla prima domanda la risposta è ovvia, no, per la seconda non ero così certo, anzi vedevo in giro molta disillusione e superficialità. Stavo però commettendo un errore abbastanza grave, cercavo solo le situazione che rispondevano ad una mia idea di partecipazione politica, ad una analisi più attenta la realtà non era questa.
Quando ho capito che non dovevo cercare delle parole, schemi o rivendicazioni preconfezionate, ma sogni, lotte e desideri di ognuno mi è apparso davanti un mondo nuovo, fatto da chi ogni giorno cerca di cambiare questo mondo partendo dal piccolo, dal quotidiano, dalla lotta di tutti i giorni.
Allora mi sono detto perbacco! Il mondo e le lotte vanno avanti anche senza un presidente, forse non dovrei essere più un presidente ma cosa potrei essere?
La risposta era stata sotto i miei occhi da molti anni ma non l’avevo mai capita fino a fondo, SUB.
Non quelli che vanno sott’acqua ma sub come sotto nel senso che prende ordini e chi comanda sono altri, quelli che lottano ogni giorno, sull’esempio del “Subcomandante” dovevo diventare “Subpresidente”.
Dalla prossima volta la rubrica si chiamerà quindi “lettere dal subpresidente” e parlerà sempre in maniera ironica e giocosa ma lo farà anche per mettere in luce le resistenze che stanno crescendo a Perugia e in Italia in questi anni, e lo farà anche grazie ad una rubrica mensile su lautoradio on air che si chiamerà “Rebeldia, la città in marcia”.
Il Subpresidente
E ritorniamo su queste pagine, dopo l’appuntamento speciale della scorsa settimana, con una recensione a cui tengo davvero molto. Scoprii questo artista e le sue opere un po’ per caso, e da quel momento non me ne separai più. Da poco tempo è stato il suo compleanno e Philmosophy decide di festeggiare assieme a lui questo giorno lieto per il cinema mondiale. Con un po’ di ritardo, ma i ritardi sono dovuti alla sua magnificenza, parleremo oggi del Maestro dell’animazione mondiale e di un suo film del 2001. Di Hayao Miyazaki Sensei: La Città Incantata (Sen to Chihiro no kamikakushi).
Chihiro è una bambina di 10 anni e sta traslocando coi suoi genitori in un’altra città quando il padre della bambina prende la strada sbagliata e raggiunge un tunnel. Nonostante la figlia non desideri proseguire, i genitori si addentrano nel cunicolo sbucando in una radura con delle case. Pensando di aver trovato un parco divertimenti abbandonato il padre si addentra nel complesso per visitarlo, seguito dalla moglie e, a malincuore, da Chihiro. I tre superano il letto di un fiume in secca e si trovano in una città composta interamente da ristoranti e locali, e su un bancone trovano un ricco buffet. I genitori si siedono e cominciano a mangiare, pensando di pagare quando si mostrerà qualcuno. Chihiro intanto esplora la zona e trova un grande complesso di bagni pubblici. Un giovane ragazzo, Haku, le ordina di andarsene, ma tornando indietro la bambina scopre che i genitori sono diventati maiali e che non riesce ad attraversare il fiume ormai in piena.
Non ci saranno spoiler di alcun tipo, perché tengo talmente tanto a questa opera che quasi mi sento in disagio nel commentarla. Andremo solo a toccare qualche punto tecnico e contenutistico, nulla di più: il resto spetta a voi nel guardarlo.
La Città Incantata si presenta a noi con il classico stile di Miyazaki, succulento e barocco, catturando la nostra attenzione fin dai primi istanti. I contenuti sono adatti, davvero, ad un pubblico molto eterogeneo. Ci sono spunti adatti a dei bimbi e spunti adatti agli adulti. Non mancano, poi, momenti divertenti e momenti tristi, bui e capricciosi. Quel che rimane, per tutto l’arco narrativo, è l’assoluta lucidità del narratore: non solo ci vuole portare a passeggio nel suo mondo, ma vuole anche farcelo annusare, assaggiare, toccare, respirare. La Città Incantata è un film da sentire nell’anima, perché solo così potremmo carpire quei messaggi così abilmente velati da renderli impercettibili a degli occhi distratti e troppo veloci nel loro balzare in avanti con lo sguardo.
C’è molta psicologia fra i disegni, accompagnata da una buona ventata di filosofia morale. V’è anche, ovviamente, un lieve approccio politico-economico-sociale, ma di per sé è il film stesso che ne è intriso fino al midollo. Miyazaki mette tutto se stesso nei suoi disegni e, questi de La Città Incantata, sono meravigliosamente reali.
Una vita piena di farraginose ipocrisie, zeppa di false priorità e ricolma di egoismo, porta alla trasformazione dell’essere in un qualcosa che non è più quello che era. E, badate bene, non è ragionamento spiccio, perché nel film troverete tutti i passaggi necessari per compiere questo viaggio in avanti ed all’indietro.
La Città Incantata è una pellicola di uno spessore elevatissimo, talmente alta da essere rilegata a “cinema per bambini”. Guardatela e ne rimarrete affascinati, ancor di più se riuscirete, già dai primi minuti – e magari anche con un po’ di fatica – ad immedesimarvi nel racconto, astraendovi dal contesto vitae che vi è attorno.
Non posso far altro che concludere questa breve chiacchierata, raccomandandovi “La Città Incantata” con tutto me stesso e, perché no, l’intera filmografia di Hayao Miyazaki.