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6 Marzo 2014

MST – Malattie Sessualmente Trasmissibili

Lo sapevi che …

Esistono malattie definite MST (Malattie Sessualmente Trasmesse) ovvero malattie infettive che si trasmettono e/o diffondono principalmente, ma non solo, per contagio diretto tramite rapporti sessuali completi, orali e anali non protetti.

Tra queste ci sono:

  • la sifilide;
  • la gonorrea;
  • le uretriti specifiche;
  • l’Herpes genitalis;
  • i condilomi;
  • la clamidia;
  • la tricomoniasi (Tricomonas);
  • la candidosi (Candida)
  • l’epatite B e C;
  • l’AIDS (virus HIV).

Sono in larga parte malattie curabili. È molto importante che la diagnosi sia tempestiva.

Si consiglia quindi, in caso di secrezioni vaginali anomale, bruciori, prurito e/o dolore alla minzione, piccole escrescenze sull’apparato genitale o anche solo quando si hanno dubbi sui rapporti sessuali avuti, di ricorrere ad una consulenza con il proprio medico, ginecologa/o, androloga/o.

Puoi avere consulenze presso il consultorio più vicino. Il consultorio è gratuito e rivolto a tutte e tutti, anche se non sei residente, non hai un medico di base né un permesso di soggiorno.

Il medico è senz’altro in grado di fare diagnosi o suggerire gli accertamenti indispensabili e consigliare poi la terapia più opportuna.

Se sei studente, studentessa, lavoratore e lavoratrice fuori sede senza residenza hai diritto a un medico provvisorio.

In ogni modo bisogna ricordare che le malattie sessualmente trasmesse riguardano entrambi i/le partner e sono, quindi, entrambi/e che devono essere trattati/e, impedendone così l’ulteriore diffusione.

COME PROTEGGERSI DALLE MALATTIE A TRASMISSIONE SESSUALE?

  • utilizzare sempre il preservativo;
  • prestare una particolare attenzione al proprio stato di salute, effettuando periodicamente visite mediche (e non l’autodiagnosi);
  • usare solo siringhe monouso e comunque evitare assolutamente lo scambio e il riutilizzo delle siringhe;
  • ricordarsi che molte malattie possono essere contratte non solo con la penetrazione vaginale ma anche con quella anale e nei rapporti orali.

Ricordati che solo l’uso corretto del preservativo, applicato all’inizio del rapporto e non poco prima dell’eiaculazione, può costituire una protezione dalle malattie a trasmissione sessuale. 

 

4 Marzo 2014

Il signor X ed il signor Y

Pensiamo per un attimo ad un signore (lo chiameremo signor X).
Il signor X vive in Italia, a Milano. Lavora: è un funzionario dell’ufficio del catasto. E’ sposato, ha due figli piccoli. Ha una casa di proprietà: un appartamento in un condomino. Ha un’automobile. Fa parte della cosiddetta “middle class”.
Ed adesso dimentichiamo il signor X, e concentriamo la nostra attenzione su un altro signore (lo chiameremo signor Y).
Il signor Y vive nella favela di Rio de Janeiro.
La mattina si alza presto. Non ha un lavoro. Vive di espedienti. Abita in una baracca di legno, lamiere e cartone, fredda e maleodorante, senza servizi igienici. Ha moglie e quattro figli da mantenere, ed a stento riesce a farlo.

Sia il signor X che il signor Y sono consapevoli della loro posizione nella società, del loro status sociale, delle loro ricchezze piuttosto che delle loro miserie, delle loro fortune piuttosto che dei loro problemi.

Ma assumiamo che nessuno di loro conosca il proprio posto nella società, la propria posizione di classe o il proprio status sociale, le proprie fortune nella distribuzione delle doti e delle capacità naturali, le proprie forze, le proprie intelligenze, i propri progetti di vita, le proprie aspettative, le proprie caratteristiche fisiche.

Assumiamo, inoltre, che nessuno di loro conosca le circostanze specifiche della propria società; sono all’oscuro della situazione politica ed economica dell’Italia e del Brasile; sono all’oscuro del livello di civilizzazione e di ricchezza del proprio Paese. Anzi, non sanno affatto quale sia il Paese in cui vivono.

Per calarci meglio in questa situazione di ignoranza, pensiamo ad una fase dell’esistenza (o pre-esistenza) in cui tutti gli uomini, ma proprio tutti, si trovano in una stessa ed identica situazione.

Pensiamo ad un uomo prima della sua nascita, nel grembo materno, che galleggia nel liquido amniotico.

Prima della nascita, tutti noi siamo circondati solo da liquido amniotico.

Poi, una volta nati, vi sarà chi sarà deposto in una comoda culla in una stanza di una clinica svizzera, circondato dagli sguardi felici del papà industriale brianzolo e della mamma soubrette televisiva. E vi sarà invece chi sarà deposto in una sudicia amaca di una maleodorante tenda nel deserto dell’Africa sahariana, circondato dagli sguardi, spenti e provati dalla miseria, dei genitori.
Prima, tutti uguali a galleggiare nel liquido amniotico. Poi, chi in una comoda culla in una ridente villa di Beverly Hills ed un vestitino pulito con tanti bei ricamini; e chi nudo in una baracca maleodorante delle favelas di Rio de Janeiro.

Ma ritorniamo ai momenti in cui siamo tutti nel grembo materno.

Attorno a noi è buio. Solo liquido amniotico ed un cordone ombelicale.
In quel momento siamo tutti uguali. Non c’è chi veste un bell’abito “griffato” e chi è invece seminudo ed infreddolito. Solo liquido amniotico.

E’ buio nel grembo materno. Non sappiamo cosa ci sarà lì fuori. Cosa ci aspetterà. Siamo ignoranti su tutto.
Chiediamo a noi stessi: “Nascerò in una capanna delle favelas di Rio o in una clinica svizzera?”; “Nascerò sano o malato, alto o basso, bello o brutto, intelligente o ritardato?”; “I miei genitori, lì fuori che mi aspettano, sono ricchi o sono poveri?”, “Sarò figlio del milanese signor X o del brasiliano signor Y?”.

Non lo sappiamo. Non sappiamo nulla. E’ la situazione originaria di ignoranza. Siamo ignoranti su tutto. E ciò ci spaventa.

Ma abbiamo anche delle speranze e delle aspettative.
Speriamo certamente di nascere sani; figli di genitori benestanti; in un Paese ricco, civile ed evoluto. Speriamo di nascere in Europa anziché in Africa. Speriamo di nascere in una clinica anziché in una capanna. Speriamo di essere i figli del signor X e non del signor Y.

Noi speriamo.

Ma siamo anche consapevoli che potrà andare diversamente da quanto speriamo.
Sappiamo che vi è la concreta possibilità di nascere malati, poveri, in mezzo ad una guerra o ad una carestia.

Ed è qui, allora, che facciamo un patto con noi stessi; con quelli che come noi sono ancora nel grembo materno e con coloro che sono già nati.

Diciamo a noi stessi: “Se dovessi nascere sano, in una famiglia ed in un Paese ricco, mi impegno ad aiutare coloro che invece, diversamente da me, nasceranno malati e poveri”.
E nel prendere questo impegno, confidiamo che tutti gli altri, nel grembo materno, anche loro ignoranti, facciano la stessa cosa a nostro favore. Confidiamo, cioè, nel fatto che anche gli altri assumano uno stesso impegno nei nostri confronti.

E così, sia pur ignoranti, ci sentiamo più sicuri ed abbiamo meno paura.

Se lo cose dovessero andare diversamente rispetto a quel che speriamo, se cioè dovessimo nascere poveri o malati, allora confideremmo nello stesso impegno assunto dagli altri in nostro favore: sappiamo quindi che vi sarà chi ci aiuterà, una volta nati.

Pensiamo: “Spero che lì fuori ad aspettarmi vi siano due amorevoli e benestanti genitori. Spero di nascere in una ricca metropoli europea. Qualora dovesse essere così, mi impegno ad aiutare, nella mia vita futura che sta per iniziare, colui che, sfortunato, è invece nato nella favela di Rio. Ma qualora dovessi essere io a nascere in una povera baracca confido nel pari impegno assunto dagli altri e confido quindi nell’aiuto di essi verso di me”.

Oggi sulle nostre coste sbarcano centinaia di persone che fuggono da guerre, carestie, miseria e persecuzioni. Molti muoiono nell’attraversare il Sahara, molti muoiono annegati nel Mediterraneo.
Essi ci ricordano del patto che tutti noi abbiamo assunto, quando eravamo nel grembo materno.
Noi siamo stati fortunati. Si è realizzato quanto speravamo: siamo nati in un Paese civile ed industrializzato, in Italia.
Loro no! Sono nati in mezzo ad una delle tanti guerre civili; o nell’arido deserto; o in mezzo a persecuzioni di ogni genere.

Adesso dobbiamo tener fede all’impegno assunto, quando eravamo ignoranti, con noi stessi e con loro.

26 Febbraio 2014

I documenti per papà

“Fai prendere i documenti a mio papà”. La voce e’ squillante e lo sguardo e’ vispo ed ha la felicità di chi ha tutta la vita davanti.
Non credo si renda conto di cosa siano i “documenti”. Come fa a rendersi conto una bambina di sei anni nata in Italia da mamma marocchina e papà tunisino, che il papà non ha più il permesso di soggiorno e che non potrà stare più con loro? Come spiegare una cosa così assurda ad una bambina di sei anni?

Lui è un bravo papà. Lo si capisce. Viene spesso da me assieme alla bimba. Lo capisco subito che è un bravo papà. E lo capiscono anche gli assistenti sociali che lo seguono nell’affidamento in prova ai servizi sociali.
Perché si: lui ha scontato una pena per diversi reati. Sono tanti e tutti inerenti gli stupefacenti. Sempre lo spaccio di quella maledetta polvere bianca.
Diverse condanne per diversi errori del passato.
Ma la nascita della figlia lo cambia. Basta così. Basta con quella maledetta polvere bianca. Basta col venderla. Basta col consumarla.
Lavora adesso. I servizi sociali gli hanno trovato un posto. E lavora sodo. Si fa ben volere anche dal suo datore.
Si comporta bene. Liberazione anticipata ed ecco il fine pena.
Ma i precedenti penali erano tanti e non consentivano il rinnovo. Ed ecco arrivare quella brutta parola che tanto odiamo ma che da il senso: clandestinità.
Vuole lavorare. Ed il lavoro lo avrebbe anche. Ma non ha il permesso ed ha una espulsione misura di sicurezza. E’ socialmente pericoloso, scrisse il giudice: i reati erano tanti.
Non era facile risolvere.
Ma lui era cambiato, era diverso, voleva un gran bene alla figlia.
Lo scrissero i servizi sociali nella loro relazione e venne quindi revocata l’espulsione misura di sicurezza.
Ma rimaneva il problema del permesso. Non dormiva. Era disperato di non poter contribuire al mantenimento della famiglia. La sola a lavorare era la moglie, nonostante il suo handicap.
Andiamo al tribunale per i minori. Qui c’è la figlia piccola. Ha bisogno del suo papà. Date lui un permesso.
Ma i precedenti erano tanti ed il giudice non lo ritiene un buon padre.
La soluzione arriva, però. Ed arriva da Roma.
Lei, la moglie, aveva presentato domanda di cittadinanza italiana. Domanda ferma da cinque anni, nonostante il termine di legge sia di due anni.
Sollecitiamo. Scriviamo. Arriva il decreto di concessione cittadinanza. Giuramento. Ora lui è marito di cittadina italiana: ha diritto ad un permesso di soggiorno.

“Da grande voglio fare pure io l’avvocato”. La voce e’ sempre squillante. Lo sguardo e’ sempre vispo.
Non può aver capito tutte queste vicende da adulti, fatte di giudici, questura, ministero.
Ma ha capito che deve esser accaduto qualcosa di bello. Lo capisce vedendo che il papà adesso e’ sereno. E ne è felice.

26 Febbraio 2014

Aiutami cugino

L’hanno usato. L’hanno messo in mezzo, come capita spesso. Di sicuro non sapeva cosa vi fosse in quel pacco. O forse un po’ lo sospettava, ma i soldi che gli hanno dato gli avrebbero permesso di mantenere moglie e due figli in Marocco per un bel po’.
Fatto sta che sette chili son tanti. La condanna era per traffico di stupefacenti. Tre anni e sei mesi.
Paga il debito con la giustizia, sconta la pena in carcere. Condotta irreprensibile. Ben voluto dalle guardie carcerarie e dai volontari.
Fine pena, esce di carcere. Ma fine pena e’ a volte anche inizio irregolarità o, come dicono altri, clandestinità.
Sette chili son tanti. E se si tratta di cocaina son tantissimi.
E’ un pericolo per l’ordine pubblico, ritiene la questura. E revoca il permesso di soggiorno.
“Avvocato, posso farti una domanda?” – mi chiede in uno stentato italiano – “tu sei Calabrese, vero?”
Rispondo di si e gli chiedo se fosse vissuto in Calabria.
“Cugino!” – esclama – “sono in Italia da 30 anni, sono stato a Vibo Valentia, a Lamezia”.
“Sei stato anche a Nicotera? Vendevi sulla spiaggia di Nicotera marina?” – chiedo io.
“Si! Nicotera, Tropea, Pizzo! Aiutami, cugino! Voglio solo poter stare in Italia per lavorare. Sono un venditore ambulante”.
Ed in quel momento, per un attimo mi rivedo bambino sulla spiaggia di Nicotera marina a giocare con mio fratello più piccolo e con i miei cugini.
E ricordo i venditori ambulanti marocchini che si fermavano ai nostri ombrelloni, col loro carico di teli da mare, vestiti per donne, occhiali da sole.
“Cugini”, li chiamavamo in Calabria con fare amichevole (erano vu cumpra’, altrove). Ed anche loro chiamavano noi “cugini”. Era da tanto che non sentivo più questa parola.
Il “cugino” che oggi viene a chiedermi di aiutarlo per il suo problema di soggiorno in Italia, tanti anni fa era sulla spiaggia di Nicotera, e magari si sarà fermato al mio ombrellone, avrà scherzato con noi ed avrà riso alle battute di zio Peppino.

26 Febbraio 2014

Presentazione del blog “Le vite degli altri”

“Le vite degli altri” e’ un contenitore blog di storie di donne e di uomini, delle loro vicende e sofferenze, dei loro desideri. Ogni giorno incrociamo decine di persone, per strada, sul bus, sul metro. Le osserviamo, a volte ci parliamo. Ognuno di loro ha una storia. Ed ogni storia e’ degna di essere narrata, anche con poche righe. A volte la storia che ognuno ha dentro esce fuori da sola. Basta guardare bene una persona in volto per scoprire la sua storia. “Le vite degli altri” raccoglie tutto ciò.

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