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19 Febbraio 2015

Un dubbio amletico

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Amleto da sempre rappresenta il dubbio: per i suoi detrattori un dubbio amletico infatti rappresenta l’emblema di chi non sa agire difronte ad una scelta, per i suoi sostenitori invece la sua incapacità di agire rispecchia l’importanza di avere dei dubbi, di dubitare sempre, anche di se stessi e di quel che si sta facendo. Anche io a vari livelli sto vivendo una situazione simile, sia a livello politico che a livello sportivo, per cui cercherò di essere molto chiaro e per farlo inizierò parlando di sport e, più precisamento, di uno sport che amo moltissimo: il ciclismo.
Il dubbio che si è insinuato dentro di me riguarda il doping. Non riguarda però il fatto se un ciclista sia o meno dopato, questo lo sapremo solo se viene scoperto all’antidoping, ma di come rapportarsi con un atleta che ritorna dopo una squalifica. Il mio primo istinto è quello di mandarlo gentilmente a quel paese e di non farsi più vedere, dato che ha tradito la fiducia mia e quella di milioni di tifosi. Dopo poco però si fa strada l’animo più progressista e conciliatore che dice di concedere a lui una seconda possibilità: tutti possono sbagliare figuriamoci nel ciclismo dove il doping è sotto gli occhi di tutti.
Ecco, io a questo punto non so che fare, come dovrei agire?
Lo stesso vale in questo momento per quanto riguarda la fase politica: deprimersi e abbandonare tutto, visto quello che si vede in giro? In Italia si continua a osannare Renzi senza che questi abbia fatto niente e, dove ha agito lo ha fatto peggiorando la situazione. In Europa tutto quello che c’è di nuovo riguarda la guerra in Ucraina o la nascita di movimenti di estrema destra. In Medio Oriente poi assistiamo alla continua espansione dell’Isis.
Ad uno sguardo più attento alcuni segnali incoraggianti ci sono: in Italia sono sempre vivi i centri sociali e stanno nascendo, anche grazie ad altre realtà, delle reti di Welfare mutualistici, veri e propri soggetti comuni, pubblico non statale. In Europa si stanno affermando partiti che a partire dai movimenti reali hanno in mente di stravolgere l’attuale concezione liberista dell’ economia europea. Per finire c’è chi in medio oriente sta combattendo l’Isis e sta anche vincendo, come l’esperienza della Rojava.
Io non so se essere preoccupato o speranzoso, però so da che parte stare, e li mi troverete. Spero che saremo in tanti.

Il presidente

P.S. Si ho saltato una settimana lo so, ma non era per mancanza di idee, ne avevo troppe e non sapevo cosa scrivere! E’ la verità.

13 Febbraio 2015

CAICOCCI TERRA SOCIALE | ATTENTI ALLA REGIONE, CAICOCCI NON SI VENDE!

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caicocciGli ultimi anni non sono stati propriamente anni di lotte, di grandi movimenti di protesta di piazza e di dissenso diffuso e generalizzato. Gli ultimi autunni non possiamo definirli propriamente “caldi”.

Tuttavia questo non vuol dire che non siano nate e si siano sviluppate esperienze di lotta, resistenza e conflitto.

Una di queste è quella di Caicocci Terra Sociale.

Oggi davanti al tribunale eravamo numerose e numerosi per continuare a sostenere la causa di Caicocci e per ribadire alla Regione che Caicocci non si vende!!!

La storia di Caicocci inizia molto tempo fa: situata sui bellissimi colli del Comune di Umbertide c’è questa tenuta, che rientra nei beni demaniali. La Regione Umbria da subito ne ha fatto un uso privatistico, prima spendendo fondi pubblici per la ristrutturazione e la valorizzazione del posto, soprattutto dei casali e degli impianti sportivi, poi dandola in uso a privati che si sono appropriati di un bene di tutti per il guadagno di pochi (loro e la Regione).

L’area è vastissima e comprende 190 ettari con 17 fabbricati già ristrutturati, stalle, campi da tennis, da calcio, piscine. Dal 2010 questo territorio è nell’abbandono più totale, saccheggiato, privato delle sue potenzialità. Ad esempio le terre coltivabili vivono in uno stato di abbandono anche più lungo, ettari ed ettari di bene comune lasciati all’abbandono, sommersi da rovi e materiale di scarico.

Il comitato ha iniziato la lotta per la riqualificazione e la restituzione di questo bene alla collettività, sottraendolo al degrado e all’abbandono, ridandogli vita, ripulendolo e coltivandolo. È iniziato un lungo lavoro progettuale per sottrarre all’abbandono un bene dalle potenzialità inestimabili.

Come se non bastasse, la Regione Umbria decide di mettere in vendita Caicocci; mettere in vendita, ricordiamo, un bene demaniale, che era già stato sottratto precedentemente per usi privatistici. Ancora speculazione.

È per questo che nel corso del 2014, Caicocci Terra Sociale inizia una “custodia sociale” della tenuta contro “la privatizzazione della terra pubblica e la svendita dei beni comuni, per denunciare l’incuria e il vandalismo dei beni pubblici, per l’utilizzo sociale della terra”.

La Regione Umbria risponde con la denuncia di tre, tra ragazzi e ragazze, che hanno preso parte all’occupazione di Caicocci, con accuse grottesche che vanno dal danneggiamento alla appropriazione indebita a fini speculativi, all’occupazione violenta e clandestina, chiedendo addirittura un risarcimento danni. Da che pulpito ci verrebbe da dire!!! Forse hanno sbagliato destinatar@.

 

Ma la battaglia del comitato non si è fermata: continua l’occupazione e gli/le occupanti sono sempre più numerosi/e, continuano le attività di rimessa a posto degli stabili, ormai abbandonati e preda di saccheggi; procede la riqualificazione delle terre. Gli appuntamenti settimanali a Caicocci sono molteplici: assemblee, laboratori, corsi di cesteria,ecc.., tutte attività appartenenti a macro aree come l’agricoltura sostenibile, l’ecologia, il rilancio dell’artigianato, energie sostenibili, l’autoproduzione e l’autosostentamento.
Si riparte quindi dalle potenzialità del posto con la partecipazione attiva di tutti e tutte, mettendo in comune idee, conoscenze, progetti.

Esperienze di costruzione del comune come questa vanno messe a valore, sostenute e fatte conoscere, ed è per questo che rilanciamo gli appuntamenti del Comitato con 3 giornate di lavori collettivi il 13, 14 e 15 a Caicocci.

ATTENTI ALLA REGIONE, CAICOCCI NON SI VENDE!

12 Febbraio 2015

LA CITTA’ CHE VOGLIAMO – Parte II

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cittàIl secondo appuntamento del laboratorio cittadino “La Città che vogliamo” si apre ripercorrendo quelli che sono stati i bisogni, le aspirazioni, le mancanze e i desideri emersi dal primo appuntamento. Il percorso volutamente vago del primo incontro aveva fatto emergere l’esigenza di ricreare spazi e luoghi di aggregazione a partire dai quali poter dar vita ad una vera alternativa politica, culturale e sociale rispetto all’imbarbarimento e alla mercificazione dei rapporti sociali. Questo ci ha portato a riflettere su due percorsi paralleli e immediatamente sovrapponibili: da una parte un percorso che riguardi più specificamente la città, rivolto a tutti e a tutte, e che sia in grado di riportare al centro delle pratiche e dei ragionamenti quella voglia di confrontarsi, stare a contatto fisicamente e ripensare la piazza come reale luogo di confronto e dibattito; dall’altro un discorso incentrato sugli spazi di aggregazione, cioè realizzare dei progetti in un luogo fisico e definito. La sfida, si diceva, sta proprio nel ricreare nuove modalità attraverso le quali ripensare la socialità stessa e nel tradurre in pratica quanto detto.

Molte sono state le proposte che sono emerse. Innanzitutto di fronte alle politiche speculative e di privatizzazione che colpiscono non solo il singolo spazio ma creano un vero e proprio sistema di mercificazione dei territori, l’obiettivo è quello di opporsi in maniera più comunicativa possibile, parlando alla città intera attraverso modalità irriverenti e che siano realmente capaci di trasmettere la centralità di tali discorsi.

Accanto a ciò è emersa la volontà di creare una “progettazione condivisa” del centro sociale: partendo dai percorsi già avviati all’interno dello spazio e dalla produzione culturale che in esso viene svolta, l’intento è quello di produrre in maniera partecipata un vero e proprio “modello” di spazio sociale con precise caratteristiche, requisiti ecc. che sia immediatamente alternativa sociale al grigiume della città.

Infine, collante dell’intera discussione, la questione della comunicazione che possiamo articolare su due livelli: il primo riguarda il subdolo attacco ricevuto dal centro sociale da parte della giunta Romizi; di fronte a ciò è di fondamentale importanza “far montare la protesta” attraverso sit-in, azioni di contestazione e momenti radicali di piazza; un secondo e più generale livello riguarda il mettere in gioco nuove forme di linguaggio e nuove narrazioni che favoriscano un maggiore contatto con la società; valorizzare perciò strumenti come il blog/radio “Lautoradio” e creare strumenti comunicativi da riprodurre anche nelle piazze sono passaggi fondamentali.

Lunedì 16 Febbraio al csoa Ex-Mattatoio, ore 21.30, svolgeremo il terzo step del laboratorio “La Città che vogliamo”, consapevoli che la complessità su cui si sta ragionando non si esaurisce in alcune ore di confronto. L’idea è quella di articolare il prossimo incontro in tavoli di lavoro in modo da essere il più operativi possibile. Sono emerse tre macro aree che verranno affrontate:

Progettazione condivisa e produzione culturale

– Iniziative e azioni

– Comunicazione e nuovi linguaggi

Per i prossimi appuntamenti pensiamo che la forma laboratoriale debba fisiologicamente convertirsi in azioni pratiche, eventi, iniziative da sviluppare in città, mettendo a frutto quello che emerso dai vari incontri, dalle varie analisi e dalle molte idee che abbiamo condiviso. Il prossimo passo è REALIZZARE la CITTA’ CHE VOGLIAMO!

5 Febbraio 2015

Cultura o morte!!!

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In questi tempi oscuri sto sempre più pensando al ruolo della cultura e dei suoi interpreti nella società e, facendo una rapida analisi, seguita da una altrettanto veloce comparazione, mi sono accorto che nei tempi addietro, strano a dirsi, la voce degli intellettuali si alzava critica verso la società e le storture presenti in essa. Libri, film, radio, canzoni e anche la neonata televisione, mettevano in luce le contraddizioni presenti nella società e le lotte che nascevano e si sviluppavano negli anni passati, e questo avveniva non solo in Italia, ma in tutta Europa.

A livello narrativo possiamo ricordare Victor Hugo con i suoi miserabili, Zolà e le sue descrizioni dei minatori e il suo famoso J’accuse, e per arrivare in Italia Calvino con i suoi sentieri e Nuto Revelli, che hanno raccontato la loro esperienza partigiana e l’importanza avuta nella formazione personale e della Repubblica, anche se presto dimenticata in questo caso.

Per quel che riguarda i film come dimenticare capolavori come “Le mani sulla città” oppure “La classe operaia va in paradiso” o registi come Mario Monicelli e attori come Gian Maria Volontè, solo per rimanere su nomi di punta del cinema italiano.

Per quanto riguarda l’aspetto musicale poi non c’è che l’imbarazzo della scelta, l’esplosione della contestazione ha corrisposto allo sviluppo di un nuovo canzoniere popolare, che ha visto la nascita di moltissimi cantautori, Guccini e De andrè per fare dei nomi, e di gruppi di caratura mondiale, PFM e Banco Del Mutuo Soccorso sempre per fare dei nomi.

Non c’è sempre stato questo vuoto culturale insomma. Certo anche oggi ci sono artisti o gruppi che riscuotono un successo enorme, ma sono casi isolati, poche voci fuori dal coro anche se di grandissima importanza.

Questa lunghissima premessa serve per spiegare un concetto che a me sta molto a cuore e che grazie agli artisti trova anche una traduzione in opere che ne rendano più facile la comprensione: chiudere spazi politici a livello fisico non significa fermare il loro agire.

Ecco se sono stato un po’ criptico e oscuro mi spiego meglio: prendete la situazione attuale del centro sociale e confrontatela con le opere qui di seguito.

In “Guerra e Pace” quando i militari si riuniscono per decidere come fermare la marcia di Napoleone su Mosca, il generale capo Kutuzov esclama “non perderemo Mosca senza combattere”. Tutti d’accordo, solo che il generale intendeva dire che se Mosca fosse finita nelle mani di Napoleone avrebbe scatenato le sue armate. Tra lo stupore dei vari generali, la battaglia si scatena quando l’imperatore francese è entrato in città, e il risultato è noto a tutti.

Nel film di Gillo Pontecorvo “La battaglia di Algeri” si parla della lotta per l’indipendenza dell’Algeria e della sua repressione brutale da parte dei paracadutisti francesi. ATTENZIONE SPOILER, quando i militari hanno ucciso l’ultimo rappresentante in città del Fronte di Liberazione Nazionale pensano di aver vinto, ma così non è. Dopo due anni la lotta riparte con vigore dalle montagne e dopo altri due anni l’Algeria è indipendente.

Per finire una frase del sommo Neruda “potranno tagliare tutti i fiori, ma non fermeranno la primavera”!

Il presidente

4 Febbraio 2015

LA CITTA’ CHE VOGLIAMO – Parte I

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città

La città che vogliamo è un percorso nato per rispondere collettivamente all’attacco da parte dell’amministrazione comunale verso il centro sociale, percorso aperto, anzi un vero e proprio laboratorio che, partendo da noi e dal territorio, disegni attraverso i nostri desideri la mappa della città che vogliamo. Con questo spirito raccontiamo il primo passo del laboratorio che si è svolto lunedì 2 febbraio al csoa ex Mattatoio, invitando tutti a partecipare già dal prossimo incontro che si svolgerà lunedì 9 febbraio alle ore 21.30 sempre al csoa ex Mattatoio, all’interno di un percorso sempre aperto a tutti/e.

L’apertura del laboratorio ha messo in luce le motivazioni di questo incontro ovvero parlare di progettualità all’interno del centro sociale e nella città, ponendo interrogativi su problemi, desideri e possibilità, da mettere in campo in maniera partecipata e condivisa.

I primi interventi hanno messo in evidenza la necessità di spazi di aggregazione in grado di creare socialità, che abbiano cioè una programmazione che li renda vissuti, e non meramente spazi fisici, contenitori vuoti dove la socialità è inevitabilmente mercificata.

Dopo una serie di interventi si è posta la contraddizione tra: un percorso che riguardi più specificamente la città, rivolto a tutte e tutti, da fare in spazi aperti (es. piazze) accessibili a tutti anche fisicamente, e un discorso di spazi di aggregazione, cioè realizzare dei progetti in un luogo fisico definito. La poca chiarezza iniziale rispetto al tema del laboratorio è stata volutamente ricercata, una forma di provocazione per cercare di stimolare una discussione che si orientasse da sé su determinati temi, partendo dalle reali esigenze e dai reali bisogni e problematicità che insieme abbiamo cercato di sviscerare. Non a caso il titolo del laboratorio “La Città che vogliamo” evoca molte strade percorribili.

La riflessione si è spontaneamente indirizzata verso un modello di aggregazione non legato ad uno spazio fisico ma una vera e propria modalità di ripensare la socialità, mettendo in campo nuove pratiche che rendano reale l’aggregazione stessa. Da qui è stato automatico far ripartire il ragionamento dal centro sociale e dalle persone che lo hanno attraversato, pensando ad esso non come ad uno spazio fisico ma come ad un contenitore di esperienze e possibilità diverse che nel corso dei 15 anni di attività sono nate e che ancora possono essere messe in campo.

Si è così iniziato a centrare in maniera più mirata cosa sia quella socialità e quella aggregazione di cui si parlava all’inizio. Molti sono stati gli interventi fatti da chi non solo attraversa il centro sociale, ma vi organizza periodicamente delle iniziative, soprattutto musicali. La musica è stata centrale non soltanto come momento di aggregazione e socialità, ma anche come parte di una cultura più vasta e di una scelta politica che abbraccia la vita intera. E’ stata, quindi, messa a valore la possibilità di avere uno spazio dove promuovere pratiche di condivisione e autoproduzione a livello musicale e non solo.

La riflessione si è poi spostata sulla necessità di non dare per scontato l’esistenza di spazi sociali. Da qui lo sforzo collettivo di promuovere un educazione sentimentale, produrre narrazioni, e creare immaginari e linguaggi che siano in grado di comunicare le varie attività svolte all’interno del centro sociale, l’idea che sta dietro a tutto questo e la sua portata sociale, politica e culturale, nonché sottolineare il vuoto che si creerebbe senza.

Il tutto si è concluso con la constatazione che bisogna ripartire dai desideri e dai bisogni, tenendo conto delle diversità, delle propensioni e aprendo continuamente a nuove progettualità che siano in grado di mettere in connessione le varie soggettività.

Tutta questa riflessione si può tradurre nella necessità di rompere l’isolamento che caratterizza il presente andando a valorizzare e a fare incontrare fisicamente le persone creando quindi una connessione con tutte quelle esperienze di lotta, di resistenza e di rifiuto delle logiche economiche attuali. Quindi riproporre e portare all’esterno il modello di aggregazione che vogliamo nella città per cercare di creare ulteriori connessioni e sinergie.

L’obiettivo è quello di pensare a come tradurre nella pratiche queste riflessioni e con questo spirito che ci rivediamo lunedì 9 al centro sociale alle ore 21.30.

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