Alla base della ripresa del conflitto in Palestina c’è la presunta interruzione da parte dei palestinesi della già precaria tregua che è durata fino a lunedì sera tra Hamas e il governo di Israele.
Naftali Fraenkel, Eyal Yifrah e Gil-Ad Shaer sono i nomi dei tre coloni israeliani trovati morti a Halhul, vicino a Hebron, nel territorio libero palestinese. Nonostante le circostanze non siano ancora state per nulla chiarite, il governo di Israele non ha esitato ad incolpare l’organizzazione di Hamas dell’accaduto agendo di conseguenza attraverso una rappresaglia contro tutto il popolo palestinese. Numerosi in questi ultimi giorni sono stati gli arresti, i bombardamenti e gli assassinii, come quello dell’appena sedicenne Muhammad Abu Khdair. Viste le modalità è ovvio il fine perseguito da Israele, non tanto di fare giustizia per i coloni o ritrovarne i corpi, quanto quello di attuare una vendetta per ribadire con la violenza indiscriminata la sua superiorità.
Inoltre non mancano i sospetti di una messa in scena, in accordo con i familiari delle vittime, per creare la scusante per riprendere gli scontri.
“Quello che Israele sta facendo non ha nulla a che fare con la sicurezza, ma è la sua politica di vendetta”
Fares Qadoura – presidente dell’associazione dei prigionieri, riguardo l’ultima ripresa del conflitto.
E’ certo evidente agli occhi di tutti la netta superiorità economica e militare dello stato di Israele rispetto al popolo di Gaza e Cisgiordania; così come palesi sono i molti punti in comune dell’ideologia sionista con quella fascista: vedi il forte razzismo nei confronti del nemico, nonché il caso, non unico nel suo genere, dell’aggressione squadrista di Martedì a Roma di un gruppo di sionisti nei confronti di un ragazzo italiano colpevole di indossare una kefiah (i giornali vi diranno che era lì per manifestare in un contro-presidio, in solidarietà con i palestinesi vittime della rappresaglia sionista, e che lo scontro era quasi fisiologico che avvenisse; ma in realtà il ragazzo aggredito era da solo perché il presidio per i palestinesi era stato sciolto prima di iniziare, su “consiglio” delle sempre imparziali forze dell’ordine). Poiché le leggi capitaliste superano ogni sprazzo di coscienza morale, si può immaginare la motivazione che spinge molti governi, istituzioni, o soprattutto lobbies a finanziare e appoggiare lo sviluppo dello stato di Israele. Tra questi appoggi non mancano certo quelli di provenienza italiana. Per esempio, è semplice comprendere cosa abbia portato il comune di Milano a rendere omaggio, con un minuto di silenzio, ai 3 coloni uccisi, se si pensa al “corteggiamento” che gli organizzatori dell’EXPO 2015 hanno fatto nei confronti delle compagnie israeliane perché vi partecipassero. Questo sarà stato significativo per la manifestazione di sincera solidarietà, che evidentemente nasconde fini prettamente di profitto. Questo gesto di falsa solidarietà, però, è servito a giustificare, da parte di una grossa istituzione italiana (per di più sotto lo sguardo internazionale, dato il coinvolgimento globale comportato dall’EXPO) quest’ultima dimostrazione di forza da parte dei sionisti contro la popolazione palestinese. Il caso dell’EXPO e del sindaco di Milano serva solo come esempio a comprendere a quanti, in Occidente, realmente renda bene per i propri interessi personali la continuazione del conflitto in Palestina se a prevalere è lo Stato di Israele. Ma il profitto rende chi lo persegue incapace di vedere che in Palestina è in corso una guerra reale, voluta e continuamente provocata non certo dalla popolazione palestinese; e si tratta per di più di uno scontro bellico impari, che vede un esercito coloniale, ispirato da forti lobbies e finanziato da potenti alleati, rivendicare e impossessarsi con la forza di terre, case e vite di un popolo, molto meno preparato militarmente, ma che comunque ancora resiste dopo ormai 66 anni di conflitto e che si mostra ancora determinato a mantenere la propria dignità e la propria identità.
L.F.