19-20 aprile 2024
In questi giorni di festival internazionale del giornalismo a Perugia era davvero opportuno ricordare Julian Assange, che per avere praticato la libertà di informazione è privato della libertà personale da 10 anni, prima rifugiato politico per quasi 7 anni nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra e dal 2019 nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh (in una cella di 2 metri per 3). Oggi è a processo a Londra alla Corte suprema del Regno unito per decidere la sua estradizione negli USA, dove lo attende una condanna a 175 anni di prigione.
Julian Assange, cinquantenne giornalista e attivista australiano, ha una colpa gravissima agli occhi dei suoi persecutori: avere diffuso attraverso la sua organizzazione WikiLeaks documenti secretati per la sicurezza nazionale, in sostanza ha reso pubbliche notizie sui crimini di guerra dell’esercito americano in Afghanistan e in Iraq.
Di questo e molto altro si è parlato nella sede di ANPI Bonfigli-Tomovic, nell’incontro dibattito “JULIAN ASSANGE È UN GIORNALISTA?” a cura di Attivisti italiani #Free Assange, in collaborazione con Allerta Media, ANPI Perugia, Amnesty International, Allerta Media, Turba, Liberi Edizioni.
Il titolo è significativo, perché negare il ruolo di giornalista ad Assange, oltre a farne uno spione (perseguibile riesumando una legge del 1917, che però non permette di considerare spie i giornalisti) consente agli Usa di continuare a proporsi come paese in cui vige la libertà di stampa e di informazione.
Su quanto la vicenda ci riguardi hanno insistito tutti i partecipanti al dibattito, particolarmente il costituzionalista Mauro Volpi e Vincenzo Vita, politico e giornalista de Il Manifesto e di Articolo 21. Al diritto di informare corrisponde il diritto dei cittadini di essere informati, salvaguardando naturalmente la privacy e la sicurezza nazionale.
Tina Marinari, coordinatrice delle campagne di Amnesty International Italia, ha sottolineato come le accuse di stupro e molestie -risultate false- fossero strumentali all’estradizione da Svezia a UK e abbiano anche ritardato l’adesione di Amnesty alla sua causa, fino a verifica della falsità delle accuse. Peraltro il trattamento disumano subito da Assange ne fa una vittima di torture e presumibilmente ha il fine di logorarne il fisico oltre che la volontà. Un modo per metterlo a tacere definitivamente.
Infine Sara Chessa giornalista indipendente, autrice del libro: “Distruggere Assange. Per farla finita con la libertà d’informazione” ha illustrato il caso sottolineando la necessità di mantenere viva la protesta, ancor più in questi giorni in cui sta per essere emessa la decisione definitiva della corte inglese. E ha ricordato come l’informazione sulle guerre tocchi gli interessi di grandi potentati economici e di tutta l’industria degli armamenti.
Da relator3 e partecipanti è stato sottolineato più volte come questa decisione ci riguardi tutt3, in Italia ad esempio la secretazione dei decreti interministeriali per l’invio di armi in Ucraina ci tiene all’oscuro di qualità e quantità di armi che vengono inviate.
Ecco: esigere la libertà per Assange è una affermazione del diritto di tutt3 a essere informati sulle attività dei nostri governi