La narrazione sulla crisi (o il managment della crisi) a cui media mainstream e politici ci hanno in questi anni ossessivamente abituato ci parla di borse, spread e finanza, un bell’armamentario tecnico-divulgativo, brillantemente sostenuto da economisti di parte, di volta in volta sfoderato per giustificare la “naturalità” del mercato e le “inevitabili” politiche di austerity e tagli dettate dalle ricette neoliberiste.
Occorre ripartire da una semplice considerazione per districarsi da questo piano di mistificazione ideologica: quella che oggi viviamo è una nuova e spietata fase di accumulazione del capitale, in cui si ridefiniscono i rapporti di forza tra le classi sociali e in cui i ricchi aumentano esponenzialmente i loro profitti/rendite mentre aumenta la forbice della disuguaglianza e della ingiustizia sociale.
Questa è una premessa indispensabile per cogliere anche nel locale la ridefinizione degli assetti di potere ed economici. Arriviamo adesso velocemente alla nostra città. Le recenti vicende politiche hanno consegnato Perugia, già ostaggio da tempo di politiche securitarie e liberiste, ad una nuova classe politica ancora più “affamata” e bramosa di entrare nel business della gestione amministrativa della città e del suo patrimonio immobiliare. “Pareggio di bilancio” e “trasparenza” sono le retoriche utilizzate per rinnovare la macchina amministrativa come modello di impresa, e per imporre una riorganizzazione disciplinare dell’intero spazio produttivo urbano.
Così la giunta Romizi ha calato la scure sul tessuto associativo della città, un tessuto eterogeneo e molteplice che offre e organizza dal basso welfare, produzione culturale e cooperazione sociale. Piovono per il mondo delle associazionismo richieste di affitti e “razionalizzazioni” di canoni e contratti -vedi il caso denunciato dal Circolo Island– ma anche dichiarazioni di stati di onerosità come per il Centro Sociale Autogestito Ex Mattatoio (su quest’ultimo infatti grava, oltre ad una ingiunzione di sgombero, un pagamento retroattivo per un debito che si aggira intorno ai 21.000 euro.)
D’altra parte l’indebitamento è al centro di un rapporto di potere in cui l’attuale capitalismo cattura il valore espresso dall’intero corpo sociale, dalla vita delle persone e dalla loro cooperazione produttiva. Questo avviene sul piano di estrazione di valore -o furto del comune– che attraversa lo spazio urbano complessivo ridefinendone confini e relazioni: e cosi il patrimonio pubblico diventa un investimento per nuove alleanze, profitti ed inclusione di manodopera gratuita o sottopagata all’interno delle varie filiere del welfare e della cultura cittadino.
Questi novelli protagonisti della scena politica (Romizi & CO) sono solo dei beceri e reazionari che accelerano e accentuano alcuni processi in corso da tempo nello scenario locale. Basti pensare alla privatizzazione dello spazio comune centro storico che ben si presta come palco ad eventi di carattere culturale, artistico e commerciale, in cui viene sfruttato un esercito di stagisti e precari perlopiù legati alla composizione giovanile ed universitaria del posto (ultimamente i giovani precari sono anche importati da fuori dalle aziende).
Che il grande imprenditore di Eurochoccolate, Guarducci, abbia pensato arrogantemente di occupare, con un choco-bar, il patrimonio architettonico e artistico comune costituito dalle Logge di Forte Braccio la dice lunga sui progetti che i padroni hanno sulla/della città.
Non mancano, a dire il vero, forme di resistenza nei processi di sottrazione del comune cittadino: se la città del welfare è piegata da questa accelerazione di accumulazione capitalista dietro la spinta neoliberale, i piani di privatizzazione dei servizi comunali – come mense ed asili nido – hanno attivato forti mobilitazioni da parte di genitori ed educatrici ed educatori. Così come la svolta palesemente razzista della giunta comunale -con le dichiarazioni dell’assessora Cicchi contro l’accoglienza dei migranti nell’ostello di Ponte Felcino- ha trovato un colpo di arresto nella forte opposizione degli abitanti del quartiere stesso.
Questi movimenti di resistenza e soggettivazione scontano il limite ancora della scomposizione e della frammentazione soggettiva di classe degli attuali rapporti di potere. Se la città è la nostra fabbrica sociale un obbiettivo importante resta quello di nutrire progetti di inchiesta per approfondire la nostra conoscenza sulla mappa urbana e i livelli di governance -locale, nazionale e transnazionale- che si articolano nel territorio.
Ma soprattutto è indispensabile costruire in città una grande coalizione di molteplici soggetti, di reti del mutualismo e della cooperazione, eterogenea e ricca: una molteplicità cooperante e desiderante e produttiva che ribadisca non solo la centralità della forma della democrazia ma della sua necessaria e sostanziale declinazione all’interno della riappropriazione e redistribuzione della ricchezza sociale prodotta.
Vogliamo ripartire da queste forme di resistenza anche per dire il nostro No al referendum, un NO che non evoca nostalgia in qualcosa di già superato dalla realtà sociale – “la vecchia e cara costituzione”- ma è quello che rimette al centro della scena i nuovi soggetti produttivi, le nuove forme di vita tese alla riappropriazione della vita e delle città a fronte del tentativo della governance di ridurre sempre più gli spazi di democrazia. Il nostro no al referendum non è strenua difesa dell’esistente ma sfiducia dal basso delle politiche neoliberiste di cui il Partito Democratico è rappresentante nonchè complice dell’impoverimento di milioni di persone.
Il piccolo duca di toscana, fedele servitore dell’austerity, sceglie Perugia per avviare la campagna elettorale per il Si al referendum costituzionale.
Andrà in scena al teatro Pavone la grande farsa: il giullare della corte europea, eletto da nessuno, che con il Si al referendum decreterà la morte di ogni parvenza democratica in questo paese.
Eh si, perché dietro la retorica dello svecchiamento e alla proposte stile mondial casa, la vittoria del Si serve al Gran duca per accentrare potere nelle mani dell’esecutivo. In tal modo, lui e il suo democraticissimo partito, non avranno più ostacoli nel cancellare diritti sociali, consegnarci al baratro della precarietà e del lavoro pagato male e raramente, con vaucher un po’ per tutti, e meritocraticissime paghe a 5 euro l’ora.
Sa bene, il giullare del capitale, quanto grande sia il rischio di una sconfitta referendaria: la sua democrazia fatta di cariche della polizia a ogni contestazione pubblica, sgomberi di case e spazi sociali, devastazioni di territori, sarebbe solo un brutto sogno.
E allora cominciamo a farlo svegliare, con i nostri corpi favolosi, inconciliabili a qualsiasi fertilità neoliberista.
Ci vediamo tutte e tutti in Piazza IV Novembre alle ore 17 per gridare il nostro No alle politiche neoliberiste di questo governo. Renzi non sei il benvenuto in questa città!
Link evento:
https://www.facebook.com/events/1359831064035135/
La narrazione sulla crisi (o il managment della crisi) a cui media mainstream e politici ci hanno in questi anni ossessivamente abituato ci parla di borse, spread e finanza, un bell’armamentario tecnico-divulgativo, brillantemente sostenuto da economisti di parte, di volta in volta sfoderato per giustificare la “naturalità” del mercato e le “inevitabili” politiche di austerity e tagli dettate dalle ricette neoliberiste. Occorre ripartire da una semplice considerazione per districarsi da questo piano di mistificazione ideologica: quella che oggi viviamo è una nuova e spietata fase di accumulazione del capitale, in cui si ridefiniscono i rapporti di forza tra le classi sociali e in cui i ricchi aumentano esponenzialmente i loro profitti/rendite mentre aumenta la forbice della disuguaglianza e della ingiustizia sociale.
Questa è una premessa indispensabile per cogliere anche nel locale la ridefinizione degli assetti di potere ed economici. Arriviamo adesso velocemente alla nostra città. Le recenti vicende politiche hanno consegnato Perugia, già ostaggio da tempo di politiche securitarie e liberiste, ad una nuova classe politica ancora più “affamata” e bramosa di entrare nel business della gestione amministrativa della città e del suo patrimonio immobiliare. “Pareggio di bilancio” e “trasparenza” sono le retoriche utilizzate per rinnovare la macchina amministrativa come modello di impresa, e per imporre una riorganizzazione disciplinare dell’intero spazio produttivo urbano.
Così la giunta Romizi, con i suoi crociati De Vincenzi e Pittola e con il supporto della liberista cinquestellata Rossetti, ha calato la scure sul tessuto associativo della città, un tessuto eterogeneo e molteplice che offre e organizza dal basso welfare, produzione culturale e cooperazione sociale. Piovono per il mondo delle associazionismo richieste di affitti e “razionalizzazioni” di canoni e contratti -vedi il caso denunciato dal Circolo Island– ma anche dichiarazioni di stati di onerosità come per il Centro Sociale Autogestito Ex Mattatoio. Su quest’ultimo infatti grava, oltre ad una ingiunzione di sgombero, un pagamento retroattivo di affitti a partire dal 2009 per un debito che si aggira intorno ai 21.000 euro. E’ davvero a dir poco paradossale che una generazione di attivisti e di precari si trovi adesso indebitata con questa amministrazione comunale per avere svolto, a titolo gratuito, una quantità di lavoro sociale e culturale, sottraendo uno spazio, quello di via della Valtiera, ottenuto dopo una occupazione, all’abbandono ed ai topi.
Conosciamo al contrario le diverse vicende che riguardano l’occupazione del Centro Sociale ex Asilo Filangieri di Napoli: l’amministrazione di De Magistris ha realizzato una delibera in cui non solo è stato riconosciuto l’uso civico dello spazio, ma esso è stato assegnato agli occupanti in quanto “comunità mutevole di lavoratori e lavoratrici dello spettacolo” che sperimentano autogestione e nuove forme di democrazia diretta.
D’altra parte l’indebitamento è al centro di un rapporto di potere in cui l’attuale capitalismo cattura il valore espresso dall’intero corpo sociale, dalla vita delle persone e dalla loro cooperazione produttiva. Questo avviene sul piano di estrazione di valore -o furto del comune– che attraversa lo spazio urbano complessivo ridefinendone confini e relazioni: e cosi il patrimonio pubblico diventa un investimento per nuove alleanze, profitti ed inclusione di manodopera gratuita o sottopagata all’interno delle varie filiere del welfare e della cultura cittadino.
Questi novelli protagonisti della scena politica (Romizi & CO) sono solo dei beceri e reazionari che accelerano e accentuano alcuni processi in corso da tempo nello scenario locale. Basti pensare alla privatizzazione dello spazio comune centro storico che ben si presta come palco ad eventi di carattere culturale, artistico e commerciale, in cui viene sfruttato un esercito di stagisti e precari perlopiù legati alla composizione giovanile ed universitaria del posto (ultimamente i giovani precari sono anche importati da fuori dalle aziende).
Che il grande imprenditore di Eurochoccolate, Guarducci, abbia pensato arrogantemente di occupare, con un choco-bar, il patrimonio architettonico e artistico comune costituito dalle Logge di Forte Braccio la dice lunga sui progetti che i padroni hanno sulla/della città.
Non mancano, a dire il vero, forme di resistenza nei processi di sottrazione del comune cittadino: se la città del welfare è piegata da questa accelerazione di accumulazione capitalista dietro la spinta neoliberale, i piani di privatizzazione dei servizi comunali – come mense ed asili nido – hanno attivato di recente forti mobilitazioni da parte di genitori ed educatrici ed educatori. Così come la svolta palesemente razzista della giunta comunale -con le dichiarazioni dell’ assessora Cicchi contro l’accoglienza dei migranti nell’ostello di Ponte Felcino- ha trovato un colpo di arresto nella forte opposizione degli abitanti del quartiere stesso.
Questi movimenti di resistenza e soggettivazione scontano il limite ancora della scomposizione e della frammentazione soggettiva di classe limitando la forza e la potenza di una possibile trasformazione degli attuali rapporti di potere. Se la città è la nostra fabbrica sociale un obbiettivo importante resta quello di nutrire progetti di inchiesta per approfondire la nostra conoscenza sulla mappa urbana e i livelli di governance -locale, nazionale e transnazionale- che si articolano nel territorio.
Ma soprattutto è indispensabile costruire in città una grande coalizione di molteplici soggetti, di reti del mutualismo e della cooperazione, eterogenea e ricca: facciamola vivere nelle assemblee, nei momenti di discussione e di incontro nei quartieri ed in ogni luogo possibile per riprenderci la città, per ricostruirla dal basso.
Partecipiamo per questo al presidio/appello cittadino lanciato dall’associazione Circolo Island il 7 luglio dalle ore 18.00 e costruiamo insieme uno stato di agitazione permanente per la Città Ribelle di Perugia.
CENTRO SOCIALE EX MATTATOIO