23 Gennaio 2020

Appunti su “La buona educazione degli oppressi”

CONDIVIDI

Maristella per Lautoradio

La buona educazione degli oppressi – Piccola storia del decoro

E’ il titolo di un recente libro di Wolf Bukowski, che l’autore ha presentato a Perugia al “Piccolo Auditorium Balena”, il 18 gennaio 2020.

Bukowski non è nuovo a Perugia, presentò qui “La danza delle mozzarelle” che molti di noi ricorderanno, e da allora ho sempre seguito i suoi interventi apprezzando quello che scrive, come lo scrive e dove lo scrive.

Grazie quindi, per averlo invitato, a VOK, Voce Ostinata e Kontraria, una organizzazione politica culturale e di tutela ambientale, costituitasi da poco, ma che sta proponendo stimolanti incontri e dibattiti.

Abbiamo parlato di “decoro”, di come questo concetto, in realtà labile e mutevole nel tempo, sia oggi la premessa per un securitarismo basato su controllo e punizione di tutti i comportamenti “indecorosi” e “devianti”, e di come tutto ciò oscuri trasformazioni sociali che generano quei comportamenti: tra gli esempi più evidenti colpevolizzare i senzatetto che dormono in strada e ignorare la perdita di casa e reddito che affligge un numero crescente di persone. La tolleranza zero, lanciata negli anni ’90 come soluzione ai problemi di New York, è diventata l’obiettivo dei sindaci di cittadine di provincia, ignorando volutamente quanto sia ingiustificata e inefficace.

Quando in Italia sono stati emanati i decreti sicurezza (che l’attuale governo non ha abolito né modificato) partecipando al laboratorio di autoformazione di NUDM, per comprenderne gli effetti, la cosa che più mi ha colpito è l’idea che esprimono: è che si cerca di realizzare una società, delle città, in cui la povertà è colpa o meglio i poveri sono colpevoli. Migrare è colpa. Dissentire è colpa. La colpa è da punire. E non si deve neanche vedere: quindi via dalle strade.

E naturalmente siamo tutti da sorvegliare (pochi giorni fa Nardella esultava per l’installazione della millesima telecamera a Firenze). Ma per prime le donne : come può essere possibile una società ordinata , incardinata sulla famiglia e la trasmissione di valori immutabili, se le donne non sono disposte a riprodurre, non solo i figli ma i modelli ricevuti? E quindi è indecoroso e riprovevole uscire in strada -sole poi!-

Ma qualsiasi forma di dissenso, perfino di espressione, viene interdetta o almeno disapprovata. E’ malvisto rivendicare lo spazio fisico, i lavori, il pensiero, la parola, persino qualche nostro compagno ha espresso perplessità su evulvissima, d’altronde sappiamo che la maggior parte delle parole del corpo è indecorosa quando non indicibile.

Si limita la libertà di liberarsi di legami indesiderati (siano padri, mariti, famiglie, figli) e di sottrarsi a compiti “dovuti” (magari non si finisce più in manicomio, sottoposte a elettroshock o lobotomizzate, ma si è un bel po’ strane). Si comincia da bambine a essere richiamate al decoro: “non ci si comporta così” non fare il maschiaccio” sta seduta composta”,” così sei carina” bacia lo zio”…Possono sembrare sciocchezze innocue, ma rappresentano la trasmissione di madre in figlia di comportamenti conformi che garantiscono l’accettazione sociale. E si capisce facilmente che per una società della sorveglianza, del pensiero uniformato, sia indecoroso lottare, che sia per difendere la propria salute, il proprio territorio, la propria sopravvivenza, il diritto alla mobilità, gli spazi sociali – sia indecoroso essere diversi: non puoi stare seduto sul bus, non puoi neanche salire , specie se sei di un altro colore.

Meno scontato è il decoro nell’abbigliamento: se ci fa ridere che negli anni 50 del 900 i vigili urbani sulle spiagge misurassero le dimensioni dei bikini, pare normale ai più che la violenza sessuale te la sei cercata per come ti vesti e di che luoghi attraversi. E tutte abbiamo fatto nostre le parole delle ragazze cilene del collettivo Lastesis: la culpa no era mia – ni donde estaba ni como vestia.

Ce lo ha rappresentato bene nei suoi romanzi la Atwood . Ci sono ruoli che puoi svolgere, solo quelli, e il tuo ruolo deve essere identificabile dal tuo vestito.

Ma il richiamo al decoro più reazionario è stato quello a Carola Rackete, spiata sotto la maglietta senza reggiseno andando in procura, indecorosa e conseguentemente “fuorilegge”

Una società psicopatica, che mi ha ricordato la madre di famiglia killer del film Serial mom, ossessionata dalla perfezione fino ad uccidere tutti quelli che confliggono con i suoi principi, che in tribunale esalta il suo appropriato abbigliamento rispetto alla sua accusatrice, socialmente inaccettabile, visto che non differenzia i rifiuti e porta scarpe bicolori dopo settembre.

E non cambia né con i governi né con le amministrazioni: il DECOROMETRO, che nel 2017 come Non una di meno abbiamo prodotto per la nostra “passeggiata indecorosa e libera” durante UJ, contestava sì la pretesa dell’amministrazione Romizi di identificare prostitute da abbigliamento e spazi frequentati, ma all’epoca ministro degli Interni era Minniti e l’ordinanza era allineata a quella del precedente sindaco PD, quella sinistra di destra di cui parla Vanetti.

Questa città, Perugia, che si propone a parole come accogliente e multiculturale, per la presenza anche di una Università per gli stranieri, tratta ben diversamente gli stranieri turisti o studenti e gli stranieri migranti, anche se poi un certo fastidio lo dimostra verso tutti quelli che non spendono. Capita che autisti di bus non vedano e lascino a terra ragazze nere. …

Dall’imporre il decoro all’opporsi al degrado è un passo breve e i primi a essere presi di mira sono gli autori di graffiti e “imbratti “ come distingue la neonata Associazione Antigraffiti di Perugia. E la stampa locale produce titoli trionfali, ne è esempio il Messaggero: “Presi i quattro di Spray selvaggio”.

Non ha avuto un gran successo la delega del controllo del territorio alle ronde di cittadini, caldeggiata dalle destre, ed è stata ridicolizzata dal prefetto la richiesta di far controllare dall’esercito l’area di Fontivegge per la presenza di spacciatori.

Invece prove generali di controllo a tappeto – ad esempio perquisizione di borse e zaini ai concerti e superamento di barriere antiterrorismo, prima a Rock in Umbria e poi a Umbria Jazz – ci hanno rapidamente abituato all’esclusione per la nostra “sicurezza “, non essendo sufficientemente selettivo il costo dei biglietti.

Non a caso il reddito è elemento discriminante per riconoscerti il diritto di cittadinanza, anche temporanea (pure il turista è ben accetto solo se può spendere, nelle città storiche si vieta sedersi sulle scalette del duomo, mangiarsi il panino e così via) e i centri urbani diventano sfondi per eventi saltuari che danno notorietà ma rendono invisibile la bellezza a chi anche se alzerà gli occhi dalla bancarella vedrà solo altre bancarelle. Eurochocolate è un esempio significativo.

Nello stesso tempo si valorizzano identità inventate e appartenenze storiche, come Perugia 1416, che permette a un ristretto numero di residenti di identificarsi con il solo centro cittadino, distinguendosi dalle periferie insicure e male abitate. Mentre restano invisibili, ma ben percepibili, alleanze fra alta borghesia e clan mafiosi, tra borghesi e massoneria.

All’ossessione securitaria fa da contraltare l’idolatria della legalità – senza riguardo alla temporaneità delle leggi o delle delibere comunali – che inizia nelle scuole, dove porta quotidianamente rappresentanti di polizia e magistratura, insistendo sugli aspetti repressivi e non certo sulla necessità di giustizia sociale.

L’ultima soglia del controllo, come ci ha ricordato Wolf, si sta sperimentando in Cina: un Sistema di Credito Sociale, basato su affidabilità, reputazione, comportamenti, una sorta di patente a punti del “buon cittadino” il punteggio, una volta che il sistema sia esteso a tutta la popolazione (non dubitiamo che lo sarà), darà o toglierà diritti, dai prestiti bancari all’accesso a beni essenziali, come la casa o una buona scuola per i figli.

Se penso che pure io da ragazzetta teppistella ho gareggiato con i miei amici di strada a rompere a sassate vetri di un convento abbandonato – il classico inizio del degrado urbano – in un sistema come questo potevo finire più facilmente al riformatorio che all’università.

E’ ora di andare su quellache De André canta cattiva strada, quella dove possiamo incontrare gli sconfitti e i reietti ma anche i ribelli (non solo quelli del maggio, ma tutti quelli che nelle strade e nelle piazze si mobilitano in ogni luogo e in ogni tempo) Incontreremo quella che vende a tutti la stessa rosa, che sia una graziosa o una prinçesa, ma non giudici e secondini.

Scroll to top