Pensiamo per un attimo ad un signore (lo chiameremo signor X).
Il signor X vive in Italia, a Milano. Lavora: è un funzionario dell’ufficio del catasto. E’ sposato, ha due figli piccoli. Ha una casa di proprietà: un appartamento in un condomino. Ha un’automobile. Fa parte della cosiddetta “middle class”.
Ed adesso dimentichiamo il signor X, e concentriamo la nostra attenzione su un altro signore (lo chiameremo signor Y).
Il signor Y vive nella favela di Rio de Janeiro.
La mattina si alza presto. Non ha un lavoro. Vive di espedienti. Abita in una baracca di legno, lamiere e cartone, fredda e maleodorante, senza servizi igienici. Ha moglie e quattro figli da mantenere, ed a stento riesce a farlo.
Sia il signor X che il signor Y sono consapevoli della loro posizione nella società, del loro status sociale, delle loro ricchezze piuttosto che delle loro miserie, delle loro fortune piuttosto che dei loro problemi.
Ma assumiamo che nessuno di loro conosca il proprio posto nella società, la propria posizione di classe o il proprio status sociale, le proprie fortune nella distribuzione delle doti e delle capacità naturali, le proprie forze, le proprie intelligenze, i propri progetti di vita, le proprie aspettative, le proprie caratteristiche fisiche.
Assumiamo, inoltre, che nessuno di loro conosca le circostanze specifiche della propria società; sono all’oscuro della situazione politica ed economica dell’Italia e del Brasile; sono all’oscuro del livello di civilizzazione e di ricchezza del proprio Paese. Anzi, non sanno affatto quale sia il Paese in cui vivono.
Per calarci meglio in questa situazione di ignoranza, pensiamo ad una fase dell’esistenza (o pre-esistenza) in cui tutti gli uomini, ma proprio tutti, si trovano in una stessa ed identica situazione.
Pensiamo ad un uomo prima della sua nascita, nel grembo materno, che galleggia nel liquido amniotico.
Prima della nascita, tutti noi siamo circondati solo da liquido amniotico.
Poi, una volta nati, vi sarà chi sarà deposto in una comoda culla in una stanza di una clinica svizzera, circondato dagli sguardi felici del papà industriale brianzolo e della mamma soubrette televisiva. E vi sarà invece chi sarà deposto in una sudicia amaca di una maleodorante tenda nel deserto dell’Africa sahariana, circondato dagli sguardi, spenti e provati dalla miseria, dei genitori.
Prima, tutti uguali a galleggiare nel liquido amniotico. Poi, chi in una comoda culla in una ridente villa di Beverly Hills ed un vestitino pulito con tanti bei ricamini; e chi nudo in una baracca maleodorante delle favelas di Rio de Janeiro.
Ma ritorniamo ai momenti in cui siamo tutti nel grembo materno.
Attorno a noi è buio. Solo liquido amniotico ed un cordone ombelicale.
In quel momento siamo tutti uguali. Non c’è chi veste un bell’abito “griffato” e chi è invece seminudo ed infreddolito. Solo liquido amniotico.
E’ buio nel grembo materno. Non sappiamo cosa ci sarà lì fuori. Cosa ci aspetterà. Siamo ignoranti su tutto.
Chiediamo a noi stessi: “Nascerò in una capanna delle favelas di Rio o in una clinica svizzera?”; “Nascerò sano o malato, alto o basso, bello o brutto, intelligente o ritardato?”; “I miei genitori, lì fuori che mi aspettano, sono ricchi o sono poveri?”, “Sarò figlio del milanese signor X o del brasiliano signor Y?”.
Non lo sappiamo. Non sappiamo nulla. E’ la situazione originaria di ignoranza. Siamo ignoranti su tutto. E ciò ci spaventa.
Ma abbiamo anche delle speranze e delle aspettative.
Speriamo certamente di nascere sani; figli di genitori benestanti; in un Paese ricco, civile ed evoluto. Speriamo di nascere in Europa anziché in Africa. Speriamo di nascere in una clinica anziché in una capanna. Speriamo di essere i figli del signor X e non del signor Y.
Noi speriamo.
Ma siamo anche consapevoli che potrà andare diversamente da quanto speriamo.
Sappiamo che vi è la concreta possibilità di nascere malati, poveri, in mezzo ad una guerra o ad una carestia.
Ed è qui, allora, che facciamo un patto con noi stessi; con quelli che come noi sono ancora nel grembo materno e con coloro che sono già nati.
Diciamo a noi stessi: “Se dovessi nascere sano, in una famiglia ed in un Paese ricco, mi impegno ad aiutare coloro che invece, diversamente da me, nasceranno malati e poveri”.
E nel prendere questo impegno, confidiamo che tutti gli altri, nel grembo materno, anche loro ignoranti, facciano la stessa cosa a nostro favore. Confidiamo, cioè, nel fatto che anche gli altri assumano uno stesso impegno nei nostri confronti.
E così, sia pur ignoranti, ci sentiamo più sicuri ed abbiamo meno paura.
Se lo cose dovessero andare diversamente rispetto a quel che speriamo, se cioè dovessimo nascere poveri o malati, allora confideremmo nello stesso impegno assunto dagli altri in nostro favore: sappiamo quindi che vi sarà chi ci aiuterà, una volta nati.
Pensiamo: “Spero che lì fuori ad aspettarmi vi siano due amorevoli e benestanti genitori. Spero di nascere in una ricca metropoli europea. Qualora dovesse essere così, mi impegno ad aiutare, nella mia vita futura che sta per iniziare, colui che, sfortunato, è invece nato nella favela di Rio. Ma qualora dovessi essere io a nascere in una povera baracca confido nel pari impegno assunto dagli altri e confido quindi nell’aiuto di essi verso di me”.
Oggi sulle nostre coste sbarcano centinaia di persone che fuggono da guerre, carestie, miseria e persecuzioni. Molti muoiono nell’attraversare il Sahara, molti muoiono annegati nel Mediterraneo.
Essi ci ricordano del patto che tutti noi abbiamo assunto, quando eravamo nel grembo materno.
Noi siamo stati fortunati. Si è realizzato quanto speravamo: siamo nati in un Paese civile ed industrializzato, in Italia.
Loro no! Sono nati in mezzo ad una delle tanti guerre civili; o nell’arido deserto; o in mezzo a persecuzioni di ogni genere.
Adesso dobbiamo tener fede all’impegno assunto, quando eravamo ignoranti, con noi stessi e con loro.