Le recenti immagini di una fiction su Luisa Spagnoli ci avevano forse abituato ad immaginare la fabbrica della Perugina come il frutto delle “genio” imprenditoriale di una singola eccezionale donna e della famiglia Buitoni, di fatto padronato locale legato al potere fascista degli anni ‘20, le cui relazioni con il regime hanno garantito diversi privilegi, prima tra tutti il rifornimento abbondante di materie prime (cacao) a cifre irrisorie, materie prime che provenivano dalle colonie sottoposte a brutale dominio e sfruttamento. Oggi che le operaie e gli operai della Perugina (in gran parte donne, ma non solo) sono in piazza per manifestare per i propri diritti, riconquistando il loro legittimo protagonismo, possiamo vedere come la produzione della fabbrica Perugina, sia stata ed è il frutto di una grande impresa collettiva, attraversata da una storia drammatica e insieme felice di lotte e rivendicazioni comuni per la qualità della vita e del lavoro stesso.
La recente manovre e scelte di licenziamenti dalla Nestlè, che si è sostituita al padronato locale, di fatto si collocano su un trend pienamente consolidato nel paese: ovvero la acquisizione da parte delle multinazionali di marchi (ed incentivi) ereditati dalla fabbrica fordista e la successiva massiccia automatizzazione, nonché de-localizzazione del comparto industriale in paesi con livelli salariali e di sfruttamento più graditi al sistema delle grandi imprese.
I licenziamenti di massa alla Perugina, sono equiparabili, in certa misura, ai licenziamenti e alle riduzioni di organico avvenute alle Acciaierie di Terni. E’ anche vero che dove le fabbriche fordiste resistono all’impatto delle trasformazioni della produzione e dei rapporti di forza dentro la stessa, lo fanno in condizioni di ricattabilità estreme – e trovando finora poco sostegno sindacale – che portano ad uno smantellamento delle tutele lavorative fino arrivare alla introduzione di “contratti individualizzati” (vedi la Fiat di Termoli). Quello che accade nelle fabbriche deve essere analizzato anche in relazione con quello che accade fuori dalle fabbriche stesse. Una straordinaria e innovativa forza produttiva intessuta di una soggettività che attraversa la fabbrica stessa: una intera nuova generazione fortemente scolarizzata e comunque ricca di nuove conoscenze e tecnologia che tuttavia è sottoposta ad una violento sfruttamento strutturato in termini di precarietà e assenze di sicurezze lavorative e di vita. Questa forza lavoro si trova in totali condizioni di “vulnerabilità” sperimentando lavoretti a 600 euro e il famigerato “job act”; una vulnerabilità della forza lavorativa in generale che si allarga mano mano coinvolgendo, in tempo di “crisi”, lavoratori e lavoratrici autonome di ogni età e che investe in molteplici modi tutti i diversi settori del lavoro.
I licenziamenti alla Perugina sono per questo non solo il riflesso di trasformazioni produttive ed economiche, ma anche il risultato di brutali rapporti di forza in termini di capitale -lavoro che occorre, oggi, sapere ribaltare. Se ribaltare questi rapporti di forza è il nostro compito, questo può avvenire nella misura in cui ci riconosciamo in una unica lotta, facendo ad esempio assumere alla lotta della Perugina un significato ed un valore forte simbolico, il significato di una lotta comune.
Ancora di più nella misura in cui difendere le lavoratrici e i lavoratori significa difendere l’intera capacità produttiva di una città e la sua stessa immagine. La fabbrica Perugina è, infatti, delle sue operaie e dei suoi operai, la fabbrica Perugina è della città. È dal loro lavoro che la Perugina è diventata un marchio dolciario famoso nel mondo, e il furto che la Nestlè compie nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori, un furto che coinvolge l’intera città è un furto che riguarda tutte e tutti.
Come precarie e precarie, come cittadine della città di Perugia, di una città intesa come forza viva del lavoro (e non come confini, frontiere nei confronti di altre ed altri) ribadiamo dunque che: la Perugina non si tocca, né si licenzia! Facciamo della lotta della Perugina una lotta unitaria per il riscatto della città, e rilanciamo delle lotte che acquisendo le molteplici differenze del lavoro (di contratti, di settori, etc) sappiano parlare a tutte e tutti in termini di tutele del lavoro, di reddito, di vita degna.
Giu’ le mani dalla Perugina, nessun licenziamento, tutele e reddito per tutte e tutti. Costruiamo un sciopero sociale per l’intera città.
Perugia non si vende
Lautoradio