POLITICA e SOCIALE

20 Giugno 2014

PERUGIA 20-06-2014. #ABBIAMO GIÀ PAGATO! VERSO IL PRESIDIO DEL 28 GIUGNO!

Continua la campagna #AbbiamoGiàPagato che viene portata avanti dalle/gli attiviste/i ormai da tre mesi, nel corso dei quali, alle azioni, alle inchieste e ai volantinaggi, si sono aggiunte diverse assemblee, momenti di confronto e raccolta dati molto partecipate.

Una delle azioni portate avanti ha riguardato la critica della convenzione stipulata tra l’Università di Perugia, Umbria Mobilità e il Circolo Universitario San Martino, che prevede una riduzione del costo del biglietto per gli studenti e le studentesse dell’Ateneo perugino. Tale convenzione fa acqua da tutte le parti; oltre ad essere fortemente discriminatoria, infatti, sono esclusi/e dall’agevolazione tutti/e gli studenti e le studentesse che non sono iscritti/e all’UniPG, come per esempio quelli/e dell’Università per Stranieri, nonché lavoratori e lavoratrici, migranti, famiglie.

Riteniamo che i diritti non possano essere diversamente ripartiti, creando delle divisioni tra soggetti che ugualmente vivono la precarietà e che ugualmente necessitano di servizi che rendano più vivibile la città. L’obiettivo della nostra campagna è quello di rivendicare una mobilità come diritto, che non sia più fonte di guadagno per pochi, privati, ma che corrisponda alle reali esigenze di tutti e tutte.

Nei mesi precedenti siamo scesi in strada più volte con presidi, volantinaggi sugli autobus, facendo inchieste, raccogliendo impressioni e proposte per un nuovo modello di mobilità.

Oggi, in maniera provocatoria, abbiamo distribuito multe finte a chi era munito di biglietto o di abbonamento proprio per ribadire in maniera forte che noi Abbiamo Già Pagato e che i disservizi di Umbria Mobilità non dipendono da chi non paga il biglietto.

Sono state diverse le risposte alla nostra provocazione, ma nella quasi totalità delle persone intercettate abbiamo riscontrato un comune malcontento e la necessità di attivare un cambiamento.

Insieme alle multe abbiamo presentato una serie di proposte, frutto di assemblee e incontri. Tra queste le più significative sono:

  • riduzione del costo del biglietto e degli abbonamenti,
  • introduzione della tariffa variabile a tratta,
  • trasferibilità del biglietto,
  • eliminazione del blocco del biglietto all’uscita del minimetrò,
  • aumento e miglioramento delle tratte urbane e extraurbane,
  • abolizione dei tornelli sugli autobus.

Con queste proposte lanciamo un presidio davanti ai cancelli di Umbria Mobilità, sabato 28 Giugno 2014, dalle ore 10:00.

#AbbiamoGiàPagato

 

19 Giugno 2014

TRAFFICO, TRATTA E PROSTITUZIONE: ESSERI UMANI INVISIBILI

tratta

Il mondo della prostituzione con il quale la nostra Unità di strada entra in contatto è solo una parte dell’ampio e variegato ventaglio di prodotti, servizi e possibilità che potrebbero rientrare nell’ambito di questa definizione, rappresentazione e pratica. La prostituzione che osserviamo con il nostro lavoro è la cosiddetta prostituzione out-door, ovvero in strada. È in questo contesto, seppur complesso e impossibile da decifrare in maniera univoca, stabilendone i confini, che tuttavia si manifesta con un’alta percentuale il fenomeno della tratta e/o del traffico di esseri umani, strettamente e indissolubilmente legato al tema del nostro l’articolo: l’invisibilità.

 

Occorre dire che possono esistere molteplici forme di prostituzione, che il limite tra autonomia e dipendenza, tra libertà e schiavitù, tra scelta compiuta o subìta è difficile da tracciare, e che sex workers e vittime di tratta/traffico non sono la stessa cosa.

 

La gran parte delle persone che incontriamo in strada sono persone prostitute migranti, provenienti principalmente da Romania, Nigeria, Sud-America, Albania, ex Jugoslavia, Bulgaria, Russia e recentemente Cina.

 

La presenza in strada di persone migranti è spesso legata alla questione della tratta e del traffico. Si tratta di due fattispecie criminose, la cui distinzione sta nel fatto che il traffico prevede un accordo tra il migrante e il trafficante che generalmente è un esponente di organizzazioni che gestiscono il servizio migratorio illegale, e dunque presuppone la volontà della persona che richiede di essere trasportata dietro compenso in un altro stato; la tratta invece indica la compravendita, lo spostamento di una persona contro la sua volontà dal luogo di origine a un altro, e il suo successivo sfruttamento a fini di lucro.

 

Accade di frequente che le vittime di tratta dedite alla prostituzione (così come le vittime sfruttate in diversi ambiti) siano consapevoli del tipo di lavoro che andranno a compiere, anche se non sono a conoscenza delle precise condizioni alle quali dovranno attenersi. Occorre sottolineare con fermezza, però, come scrive il dott. David Mancini, Sostituto Procuratore presso il Tribunale d Teramo, “che la conoscenza preventiva delle attività compiute nel Paese di destinazione non costituisce in alcun modo un elemento significativo per stabilire se il migrante sia vittima di traffico e di tratta. L’interprete del fenomeno, qualunque sia l’angolo di visuale adottato, deve essere preliminarmente consapevole del fatto che traffico e tratta sono fenomeni che intaccano la persona umana e la sua dimensione di diritti fondamentali, a nulla rilevando la disponibilità del migrante a compiere lavori turpi o degradati, poiché tale scelta, quasi sempre, è dettata soltanto dalla speranza di poter avere una congrua aspettativa di vita, impossibile nel Paese di origine per le più disparate contingenze (guerre, persecuzioni, povertà, sottosviluppo, etc.)”.

 

Occorre anche sottolineare che le vittime di tratta a fini di sfruttamento sessuale e le vittime sfruttate in ambiti diversi sono spesso le stesse, ovvero che una persona venga sfruttata a più livelli in diverse fasi, e che i confini tra traffico e tratta siano labili e che di frequente episodi di traffico si trasformino in casi di tratta. Che nei confronti di una persona che richiede volontariamente il trasporto illegale in un altro Stato, subentrino in seguito, durante il viaggio, la coercizione, le minacce, la violenza, e le finalità di sfruttamento.

 

Tratta e traffico sono fenomeni nuovi e in continua trasformazione, tanto che non esistono ancora fonti precise sui dati numerici delle persone vittime né sulle modalità con cui queste fattispecie criminose vengono praticate. Da qui il primo elemento che rende i fenomeni e le persone che li subiscono: invisibili.

 

La pratica a grandi linee assume caratteri diversi a seconda delle origini dei migranti e dei trafficanti. Nel caso delle persone che incontriamo in strada nel territorio umbro, generalmente le transessuali provenienti dal Sud America, una volta estinto il debito contratto per arrivare in Italia sono “libere”. Le donne provenienti dai territori dell’Africa hanno un debito così grande che difficilmente riescono ad estinguerlo, e nei loro confronti il ricatto fa leva su riti voodoo e su ripercussioni nei riguardi dei familiari.

 

Di fatto, una volta giunti nei paesi di destinazione, la maggior parte dei/lle migranti-vittime, sono sprovvisti/e di documenti di identità, di risorse finanziarie, di punti di riferimento e non conoscono la lingua. Sono quindi estremamente vulnerabili, dipendono totalmente dai loro aguzzini e sono sottoposti/e ad ogni tipo di violenza e abuso; (…) temono ritorsioni nei riguardi dei loro familiari rimasti in patria (Mancini, 2006).

 

La mancanza di documenti impedisce di essere per così dire “tracciabili” in un territorio; senza un documento è come se non esisti, e in più sei impossibilitato ad accedere a qualsiasi tipo di servizio, dall’assistenza sanitaria, ad un corso di lingua italiana e così via…

 

Non sempre l’Italia, poi, è il paese di arrivo del percorso migratorio, per cui molte delle persone che incontriamo in strada transitano velocemente in Italia dirette verso altre mete; in altri casi i tempi di permanenza nel nostro territorio o nella nostra città sono brevi, come si evince dai racconti delle persone in strada, si parla di qualche mese; vengono costrette spesso a cambiare città o Paese. Questi spostamenti le rendono invisibili e inermi, le mettono in condizioni di precarietà e fragilità, condizioni che saldano il legame con i loro sfruttatori; per cui per quest’ultimi mantenere e reiterare tale stato di cose consiste nella loro sopravvivenza e nella sopravvivenza di tutta la struttura criminale e per le vittime risulta impossibile o estremamente difficile liberarsi dallo sfruttamento. A tale scopo spesso vengono spostate nei circuiti indoor, in appartamenti privati o in locali pubblici.

 

La collocazione al chiuso riduce le possibilità di intervento da parte delle associazioni, o di tutte quelle realtà che potrebbero mediare l’accesso ai servizi e offrire opportunità di aiuto.

 

Per tale motivo le ordinanze anti-prostituzione, vanno, in base anche alla nostra esperienza di lavoro, solo a spostare il fenomeno della prostituzione da un circuito out-door a uno indoor, favorendo l’invisibilità dei soggetti vittime, favorendo il sommerso, e vanno a ridurre le possibilità di contatto, di lettura seppure sommaria del fenomeno, di instaurazione di qualsiasi tipo di relazione e quindi di produzione di qualsiasi forma di autonomia (che sia pure l’uscire da sole dal luogo in cui si abita per recarsi dal dottore), in sostanza vanno a compromettere l’affermazione di soggetti, attraverso una qualsiasi “prova” della loro esistenza e possibilità di accesso e godimento di diritti in quanto esseri umani; le possibilità di intervento; l’emersione di vissuti, di forme di vita e pratiche di sfruttamento; e l’analisi di un fenomeno complesso e difficile da decifrare, che può essere fatta attraverso la raccolta di dati e di storie.

 

Bibliografia:

 

“I piccoli schiavi invisibili. Dossier tratta 2013”, a cura di Save the Children Italia Onlus, agosto 2013.

“Traffico di esseri umani e tratta di persone: le azioni di contrasto integrate”, di David Mancini, 16/02/2006.

13 Giugno 2014

A tre anni dal referendum per l’acqua bene comune. Cosa è stato realmente fatto.

Sono passati esattamente 3 anni dal referendum del 12 Giugno 2011 per l’acqua bene comune (cioè per l’abrogazione della legge sulla gestione idrica e della legge che permetteva alle aziende private di gestione di avere guadagni dalle bollette), contro la legalizzazione del nucleare e contro la legge sul legittimo impedimento. Quel giorno quasi 25 milioni di persone (il 95,3% dei votanti) risposero che l’acqua è un diritto per tutt* e non una merce su cui speculare.
Attraverso quel voto si è riusciti ad impedire che venisse imposto l’obbligo di privatizzare il servizio di gestione idrico ed è stata sottolineata la volontà da parte de* cittadin* di mantenere l’acqua un bene comune, in quanto troppo essenziale alla vita per essere trattato come merce su cui speculare sopra e per cui ci sia qualcuno in grado di decidere a chi negarla o meno.
A 3 anni dal voto, è stata concretamente attuata la decisione del referendum?

A Novembre dello stesso anno comincia il mandato di Monti. Non ha avuto bisogno di essere minimamente conosciuto dai cittadini per diventare premier, figuriamoci se poteva sentire il dovere di dare importanza ad un referendum popolare di pochi mesi prima. E 7 mesi dopo il 12 Giugno, sotto la spinta del motto del governo secondo cui era necessario liberalizzare tutto, il sottosegretario alla presidenza, Catricalà, affermava la necessità di aprire, come gli altri settori, anche quello idrico al mercato.

E da qui in poi abbiamo assistito al susseguirsi di scandalose dichiarazioni, come quella pronunciata dall’allora ministro dell’economia Passera, che, come a voler svelare un trucco di magia (e di inganno), ha confessato: “Il referendum ha fatto saltare il meccanismo che rende obbligatoria la cessione ai privati del servizio di gestione dell’acqua, ma non ha mai impedito in sé la liberalizzazione del settore”. Di quale poi sia la volontà collettiva riscontrata dagli esiti del referendum, al ministro importava evidentemente molto poco.

Subito dopo, Passera ha trovato l’appoggio dell’amico Polillo, sottosegretario all’economia, che ancora più sincero e spudorato ha detto: “Il referendum sull’acqua è stato un mezzo imbroglio. Sia chiaro che l’acqua è e rimane un bene pubblico. E’ il servizio di distribuzione che va liberalizzato.”

Ma forse, anche dopo queste affermazioni, non a tutti era ancora chiara la situazione. Perciò Clini, ministro per l’ambiente di Monti, ha ritenuto di dover essere un po’ più chiara e ha spiegato: “La gestione dell’acqua come risorsa pubblica deve corrispondere alla valorizzazione del contenuto economico della gestione”. Come a dire che l’acqua in sé può anche non essere fonte di profitto, ma siccome per noi ha un valore ben preciso in quanto merce, il ricavo per il privato lo camuffiamo sotto forma di spesa di gestione.

Sul piano pratico, queste affermazioni hanno avuto come conseguenza che, con il governo Monti, sono state trasferite “le funzioni di regolazione e controllo dei servizi idrici” all’Autorità dell’Energia Elettrica e del Gas (AEEG), la quale ha il compito di favorire lo sviluppo del mercato e della libera concorrenza dell’elettricità, del gas e, grazie a questo provvedimento, anche del servizio idrico.

Dopo il referendum non in tutte le realtà territoriali è stata introdotta una gestione del tutto pubblica dell’acqua, e grazie ai fondi pubblici ricevuti attraverso l’AEEG, le aziende  private sono state avvantaggiate economicamente rispetto a quelle di diritto pubblico.

Per esempio due situazioni diverse si trovano se guardiamo chi gestisce il servizio idrico a Napoli e chi a Torino.
Nella città Napoli, dopo il referendum, è stata veloce la trasformazione della Arin S.p.a. in ABC Acqua bene Comune Napoli, azienda speciale di diritto pubblico, senza scopo di lucro. A Torino invece il gestore, prima del referendum, era SMAT S.p.a. e lo è tutt’ora. Una società che in uqanto privata ha interessi ad investire al di fuori del servizio di gestione idrica. Investimenti che però vanno a pesare sulla qualità del servizio stesso e a gravare sui costi che gli/le utenti dovranno pagare comunque all’azienda.
A Perugia è Umbra Acque a gestire il servizio idrico. E’ un’azienda per quasi metà di proprietà privata (il 40% è di proprietà della società romana ACEA S.p.a.) e per il resto è controllata dal Comune di Perugia e altri soggetti pubblici. Condizioni queste che permettono alla parte privata della società di far ricadere le proprie speculazioni sui soggetti pubblici (come si per esempio visto con la vicenda di APM, azienda gestrice dei trasporti pubblici a Perugia, da poco fallita per motivi privatistici).

Non era certo questa la situazione che quella enorme parte de* cittadin* si aspettava di trovare dopo 3 anni da quando ha messo la croce sul SI perché venissero abrogate quelle leggi che avrebbero permesso ancora la speculazione su un bene che di fatto è e deve restare un bene comune per il futuro di tutt* e non una merce per il guadagno di pochi.
Ma al posto di quelle leggi ne sono fatte altre, senza tenere minimamente conto del volere collettivo, senza un minimo di pudore e di democrazia. Forse è perché ormai siamo entrati nella democrazia del capitale, dove non esiste più la figura del cittadino, ma solo quella del consumatore, e solo chi ha accesso ad un bene o un servizio, essenziale o superfluo che sia, può decidere su come gestirlo, e se privare qualcuno o meno di usufruirne. Certo è, però, che da questa logica, da questa “democrazia” del capitale, se ne può ancora uscire.

L.F.

5 Giugno 2014

PERUGIA 05.06.14 – DIRITTO ALLA MOBILITA’ VERSO L’11 LUGLIO

Questa mattina attiviste e attivisti della campagna cittadina “Abbiamo già pagato” hanno costruito un’altra giornata di iniziative per il diritto alla mobilità, per reclamare quindi il diritto di tutte e tutti a muoversi liberamente in città, senza barriere di ordine economico rappresentate dai costi già altissimi dei trasporti.

Il concentramento, in zona Stazione Centrale, si è poi spostato davanti al Tribunale di Perugia dove è stato esposto uno striscione contro l’operazione giudiziaria a Torino (111 indagati, 30 misure cautelari di cui 11 in carcere), e gli sgomberi e gli sfratti degli ultimi giorni.

L’iniziativa sul diritto alla mobilità è parte di un percorso comune che ci vedrà presenti e protagonisti anche l’11 Luglio a Torino, alla contestazione del vertice europeo sulla disoccupazione giovanile.

La questione occupazionale, di cui la BCE e i governi europei intendono parlare, varrà come formalizzazione definitiva del lavoro in lavoro precario, perlopiù gratuito (tirocini, stage e ricorso a lavoro volontario) e continuamente sotto ricatto.

Contro la precarizzazione delle nostre vite, il ricatto del mercato del lavoro e chi crede di fermare i movimenti con arresti, sgomberi e sfratti, noi continuiamo a reclamare casa, reddito e diritti per tutte e tutti.

Domenica 8 giugno ore 17,30 Assemblea Pubblica al c.s.o.a. Ex Mattatoio

 #AbbiamogiàPagato

#civediamolundici

30 Maggio 2014

Una riflessione sull’EXPO 2015, vetrina di un vizio diffuso

expo

Fra meno di un anno assisteremo all’apertura dei cancelli dell’esposizione universale di Milano, EXPO 2015, un melting pot delle maggiori aziende attive a livello globale. In Italia verrà ospitata la massima espressione dell’economia industriale, che poco o per niente lascia spazio alle piccole aziende e artigiani. Per non parlare della totale noncuranza da parte della fiera nei confronti delle tante critiche avanzate da soggetti che portano avanti paratiche di economia solidale, GAS, coltivatori di prodotti biologici, attivi nello stesso territorio milanese. 

Quali sono dunque i punti critici dell’EXPO?

Uno è evidentemente lo stravolgimento di un’area verde (si parla di quasi 100 ettari), per la progettazione e il finanziamento, a spese pubbliche, della piattaforma e delle strutture che ospiteranno la fiera. Si tratta inoltre di opere di cui una metà non potranno mai essere realizzate in tempo. Le strutture che invece verranno realizzate recheranno, se possibile, ancora più danno, visto che renderanno per sempre improduttiva una grande zona agricola. E’ qui che diventa palese la volontà di speculare su potenziali risorse economiche utili alla collettività a beneficio di introiti per le aziende costruttrici coinvolte nelle realizzazione dell’evento. Come si può quindi pensare che l’EXPO possa raggiungere quegli “obiettivi di crescita economica, ma anche di rafforzamento del dialogo interculturale e di responsabilità sociale nei confronti di paesi colpiti dal dramma della fame e della povertà” inneggiati dall’ex sindaco di Milano Moratti nel 2009?

Un altro punto riguarda le infrastrutture da costruire, che nel piano risultano annesse all’EXPO: la Tangenziale Est esterna di Milano e la “direttissima” Brescia-Bergamo-Milano, che sarebbero dovute essere concluse entro Dicembre 2013. Queste andranno ad occupare  1.090 ettari di suolo agricolo e solo 258 di suolo già urbanizzato. Del suolo agricolo, 220 ettari fanno parte della provincia di Monza-Brianza, andando a nuocere ad un’area già iper antropologizzata (solo il 45% del suolo non è cementificato, la percentuale più bassa in Italia).

Davanti a questo disastro ambientale, le inchieste aperte dalla procura e poi anche dalla Corte dei Conti nei confronti dei dirigenti responsabili alla realizzazione degli impianti passano relativamente in secondo piano. Lo stesso Renzi ha dichiarato che l’obbiettivo sarà di “fermare i ladri non le opere”, ignorando quindi il problema di fondo per concentrarsi soltanto sulla punta dell’iceberg, che comunque rappresenta già di per sè un fatto grave.

La domanda che verrebbe ora da porsi è dove questi signori possano trovare il coraggio di affibbiare all’EXPO un valore di crescita economica esemplare per il resto del mondo? E’ piuttosto evidente la contraddizione nell’affermare di voler superare la crisi attraverso la speculazione selvaggia di fondi pubblici. Come possono continuare a usare il vuoto slogan “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita“, senza che vi siano le basi per parlare concretramente e senza ipocrisia di rivalutazione dell’agricoltura come bene comune, della salvaguardia della biodiversità agroalimentare (vedi il caso degli OGM Monsanto in Friuli), di un‘economia solidale, che non punti al mero profitto personale?

L.F.

 

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