Il mondo della prostituzione con il quale la nostra Unità di strada entra in contatto è solo una parte dell’ampio e variegato ventaglio di prodotti, servizi e possibilità che potrebbero rientrare nell’ambito di questa definizione, rappresentazione e pratica. La prostituzione che osserviamo con il nostro lavoro è la cosiddetta prostituzione out-door, ovvero in strada. È in questo contesto, seppur complesso e impossibile da decifrare in maniera univoca, stabilendone i confini, che tuttavia si manifesta con un’alta percentuale il fenomeno della tratta e/o del traffico di esseri umani, strettamente e indissolubilmente legato al tema del nostro l’articolo: l’invisibilità.
Occorre dire che possono esistere molteplici forme di prostituzione, che il limite tra autonomia e dipendenza, tra libertà e schiavitù, tra scelta compiuta o subìta è difficile da tracciare, e che sex workers e vittime di tratta/traffico non sono la stessa cosa.
La gran parte delle persone che incontriamo in strada sono persone prostitute migranti, provenienti principalmente da Romania, Nigeria, Sud-America, Albania, ex Jugoslavia, Bulgaria, Russia e recentemente Cina.
La presenza in strada di persone migranti è spesso legata alla questione della tratta e del traffico. Si tratta di due fattispecie criminose, la cui distinzione sta nel fatto che il traffico prevede un accordo tra il migrante e il trafficante che generalmente è un esponente di organizzazioni che gestiscono il servizio migratorio illegale, e dunque presuppone la volontà della persona che richiede di essere trasportata dietro compenso in un altro stato; la tratta invece indica la compravendita, lo spostamento di una persona contro la sua volontà dal luogo di origine a un altro, e il suo successivo sfruttamento a fini di lucro.
Accade di frequente che le vittime di tratta dedite alla prostituzione (così come le vittime sfruttate in diversi ambiti) siano consapevoli del tipo di lavoro che andranno a compiere, anche se non sono a conoscenza delle precise condizioni alle quali dovranno attenersi. Occorre sottolineare con fermezza, però, come scrive il dott. David Mancini, Sostituto Procuratore presso il Tribunale d Teramo, “che la conoscenza preventiva delle attività compiute nel Paese di destinazione non costituisce in alcun modo un elemento significativo per stabilire se il migrante sia vittima di traffico e di tratta. L’interprete del fenomeno, qualunque sia l’angolo di visuale adottato, deve essere preliminarmente consapevole del fatto che traffico e tratta sono fenomeni che intaccano la persona umana e la sua dimensione di diritti fondamentali, a nulla rilevando la disponibilità del migrante a compiere lavori turpi o degradati, poiché tale scelta, quasi sempre, è dettata soltanto dalla speranza di poter avere una congrua aspettativa di vita, impossibile nel Paese di origine per le più disparate contingenze (guerre, persecuzioni, povertà, sottosviluppo, etc.)”.
Occorre anche sottolineare che le vittime di tratta a fini di sfruttamento sessuale e le vittime sfruttate in ambiti diversi sono spesso le stesse, ovvero che una persona venga sfruttata a più livelli in diverse fasi, e che i confini tra traffico e tratta siano labili e che di frequente episodi di traffico si trasformino in casi di tratta. Che nei confronti di una persona che richiede volontariamente il trasporto illegale in un altro Stato, subentrino in seguito, durante il viaggio, la coercizione, le minacce, la violenza, e le finalità di sfruttamento.
Tratta e traffico sono fenomeni nuovi e in continua trasformazione, tanto che non esistono ancora fonti precise sui dati numerici delle persone vittime né sulle modalità con cui queste fattispecie criminose vengono praticate. Da qui il primo elemento che rende i fenomeni e le persone che li subiscono: invisibili.
La pratica a grandi linee assume caratteri diversi a seconda delle origini dei migranti e dei trafficanti. Nel caso delle persone che incontriamo in strada nel territorio umbro, generalmente le transessuali provenienti dal Sud America, una volta estinto il debito contratto per arrivare in Italia sono “libere”. Le donne provenienti dai territori dell’Africa hanno un debito così grande che difficilmente riescono ad estinguerlo, e nei loro confronti il ricatto fa leva su riti voodoo e su ripercussioni nei riguardi dei familiari.
Di fatto, una volta giunti nei paesi di destinazione, la maggior parte dei/lle migranti-vittime, sono sprovvisti/e di documenti di identità, di risorse finanziarie, di punti di riferimento e non conoscono la lingua. Sono quindi estremamente vulnerabili, dipendono totalmente dai loro aguzzini e sono sottoposti/e ad ogni tipo di violenza e abuso; (…) temono ritorsioni nei riguardi dei loro familiari rimasti in patria (Mancini, 2006).
La mancanza di documenti impedisce di essere per così dire “tracciabili” in un territorio; senza un documento è come se non esisti, e in più sei impossibilitato ad accedere a qualsiasi tipo di servizio, dall’assistenza sanitaria, ad un corso di lingua italiana e così via…
Non sempre l’Italia, poi, è il paese di arrivo del percorso migratorio, per cui molte delle persone che incontriamo in strada transitano velocemente in Italia dirette verso altre mete; in altri casi i tempi di permanenza nel nostro territorio o nella nostra città sono brevi, come si evince dai racconti delle persone in strada, si parla di qualche mese; vengono costrette spesso a cambiare città o Paese. Questi spostamenti le rendono invisibili e inermi, le mettono in condizioni di precarietà e fragilità, condizioni che saldano il legame con i loro sfruttatori; per cui per quest’ultimi mantenere e reiterare tale stato di cose consiste nella loro sopravvivenza e nella sopravvivenza di tutta la struttura criminale e per le vittime risulta impossibile o estremamente difficile liberarsi dallo sfruttamento. A tale scopo spesso vengono spostate nei circuiti indoor, in appartamenti privati o in locali pubblici.
La collocazione al chiuso riduce le possibilità di intervento da parte delle associazioni, o di tutte quelle realtà che potrebbero mediare l’accesso ai servizi e offrire opportunità di aiuto.
Per tale motivo le ordinanze anti-prostituzione, vanno, in base anche alla nostra esperienza di lavoro, solo a spostare il fenomeno della prostituzione da un circuito out-door a uno indoor, favorendo l’invisibilità dei soggetti vittime, favorendo il sommerso, e vanno a ridurre le possibilità di contatto, di lettura seppure sommaria del fenomeno, di instaurazione di qualsiasi tipo di relazione e quindi di produzione di qualsiasi forma di autonomia (che sia pure l’uscire da sole dal luogo in cui si abita per recarsi dal dottore), in sostanza vanno a compromettere l’affermazione di soggetti, attraverso una qualsiasi “prova” della loro esistenza e possibilità di accesso e godimento di diritti in quanto esseri umani; le possibilità di intervento; l’emersione di vissuti, di forme di vita e pratiche di sfruttamento; e l’analisi di un fenomeno complesso e difficile da decifrare, che può essere fatta attraverso la raccolta di dati e di storie.
Bibliografia:
“I piccoli schiavi invisibili. Dossier tratta 2013”, a cura di Save the Children Italia Onlus, agosto 2013.